Riportiamo un interessante articolo di Vittorio Pelligra, pubblicato lo scorso mese da Il Sole 24 Ore.
Provate
a chiedervi se il numero degli omicidi in Italia, rispetto al 2000, è aumentato,
diminuito o rimasto invariato. Ora, nel momento stesso in cui vi accingete a
darvi una risposta, il vostro cervello ha già compiuto una serie di operazioni
complesse, alcune consce e volontarie, ma la maggior parte, invece, inconsce e
automatiche. Tra queste la più importante è quella di ripescare dalla memoria
eventi connessi alla stima che ci viene chiesta di elaborare, ricordi, in questo
caso di omicidi. Questi ricordi, elaborati poi in modo cosciente, costituiranno
la base della nostra risposta.
Quanto
siamo bravi a rispondere a simili domande? Quanto è calibrato il nostro
giudizio? Pochissimo, a giudicare dai dati. L’84% degli italiani, per esempio,
stando all’ultima rilevazione Ipsos Mori, pensa che il numero di omicidi sia
cresciuto o certamente non diminuito. Il dato oggettivo rappresenta una diversa
realtà; mostra infatti che gli omicidi nello stesso periodo si sono ridotti del
39 per cento. Vabbè, errare è umano del resto. In questo caso però parlare di
“errore” sarebbe improprio. Se si trattasse di un errore, infatti, avremmo
alcune persone portate a sovrastimare l’incidenza del fenomeno e altre a
sottostimarlo e nei grandi numeri queste differenze tenderebbero a eliminarsi.
Ciò di cui parliamo qui, invece, sono propriamente delle “distorsioni” (bias), e sono grandemente diffusi tra la
popolazione di tutti Paesi studiati, proprio perché hanno a che fare con i
nostri processi cognitivi. Riguardano principalmente temi “caldi”
mediaticamente, come il suicidio, i rischi per la salute, le credenze religiose,
la corruzione, l’immigrazione e altri, perché in questi casi l’esposizione
mediatica rende più vivido il ricordo e quindi più veloce la sua disponibilità
alla memoria che a sua volta ci porta, inconsciamente, a sovrastimarne il peso
nella nostra personale ricostruzione del fenomeno. È importante sottolineare
questa differenza tra “errori” e “distorsioni”, perché, a differenza dei primi,
queste ultime tendono a essere sistematiche, vanno tutte nella stessa direzione;
“sbagliamo”, cioè, tutti nello stesso modo. E se queste distorsioni sono
sistematiche, vuol dire che sono prevedibili e quindi utilizzabili, sfruttabili,
cavalcabili.
Un
esempio istruttivo del disallineamento che si può produrre tra dati reali e
percezioni distorte e dell’utilizzo politico che di quest’ultime può essere
fatto, ci è stato dato nei giorni scorsi dalla polemica tra il presidente
dell’Inps, Tito Boeri e il ministro degli Interni, Matteo Salvini. Boeri afferma
nella sua relazione annuale che alla luce dei dati sulla struttura del nostro
mercato del lavoro e delle dinamiche demografiche, il sistema pensionistico
italiano rischia di andare in crisi senza l’apporto di nuovi lavoratori
immigrati. Salvini gli risponde accusandolo di vivere su Marte. I dati di Boeri
sono oggettivi e corretti, ma secondo la percezione dei cittadini e non solo di
quelli che votano Salvini, di immigrati ce ne sono già anche troppi: gli ultimi
dati Eurispes ci dicono che la maggioranza degli italiani pensa che siano tra il
16 e il 25% della popolazione totale, mentre in realtà sono l’8 per cento.
Questo
è il punto cruciale allora: dobbiamo rassegnarci al fatto che il mondo
dell’oggettività si debba trasferire su Marte? E chi vorrebbe vivere su questa
“Terra”, dove la politica economica, migratoria, fiscale, si basa su percezioni
distorte della realtà? Il National bureau of economic research ha appena
pubblicato uno studio condotto da tre economisti di Harvard (Alesina, Miano,
Stantcheva, 2018, Immigration and
Redistribution, Nber) che può aiutarci a dare una risposta a questa domanda.
Lo studio non solo mostra, come già affermato, che esiste una diffusa tendenza a
sovrastimare l’incidenza degli immigrati nella popolazione, ma anche errori di
valutazione sistematicamente distorti rispetto alla distanza culturale e
religiosa, alla fragilità economica, al livello di studio, al livello di
disoccupazione, all’accesso ai servizi pubblici.
Un’immagine,
insomma, gravemente alterata della realtà che riflette però le convinzioni di
larga parte della popolazione e in particolare di coloro che si definiscono di
centro-destra, non sono laureati e lavorano in settori a bassa qualificazione e
ad alta intensità di immigrazione (servizi alla persona, edilizia, etc.). Ma la
conclusione più interessante della ricerca, e per certi versi più sconfortante,
è ancora un’altra e riguarda il fatto che anche quando ai cittadini vengono
fornite informazioni precise e affidabili circa il numero di immigrati, le loro
caratteristiche religiose ed etniche e i loro sforzi lavorativi, che dovrebbero
ridimensionare i preconcetti e mitigare le distorsioni, queste non cambiano ma,
al contrario, si dimostrano impermeabili alla realtà. Un dato non proprio
coerente con la retorica della post-ideologia. Questa immagine, per quanto
falsata, conta, e molto, perché da essa scaturisce il consenso per alcune
politiche invece che altre, in questo caso, per esempio, le politiche
redistributive che vengono avversate proprio da quei cittadini poveri che più ne
trarrebbero beneficio.
La
politica della percezione rischia quindi di sfavorire proprio la sua base
elettorale, il cui consenso viene abilmente veicolato e utilizzato. Ecco perché,
quindi, è quanto mai necessario attivare anticorpi di serietà e responsabilità
che ci aiutino a non far aumentare ulteriormente il divario tra percezione e
realtà, a non farlo cavalcare per fini di consenso, affinché non si utilizzi per
politiche partigiane la fragilità naturale dell’opinione pubblica, ma si possano
basare le scelte politiche sulla migliore evidenza disponibile. O saremo tutti,
prima o poi, costretti a emigrare su Marte.
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