La scuola può arginare
il populismo
di Maurizio
Muraglia
Considero il populismo un problema educativo. E
quindi didattico. Scindere i due livelli non è utile quando si parla di scuola
e di istruzione. Credo che il popolo italiano sia un popolo tendenzialmente
populista, incline alla sudditanza e all’entusiasmo per ogni forma di seduzione
politica. E lo credo perché credo che in più di un secolo e mezzo la scuola
italiana non sia riuscita a produrre le condizioni per la piena cittadinanza,
cioè per l’anticorpo più efficace contro il populismo.
In fondo l’art.3 della Costituzione indica alla
scuola il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo
della persona umana, ed il populismo a mio modo di vedere rappresenta una fase
non pienamente sviluppata della persona umana. Sia la persona che lo esercita
sia quella che lo subisce. Infatti il populismo presenta questa dimensione
relazionale. Non c’è populista senza popolo disposto a farsi portare laddove il
populista vuole. E questo popolo o pseudo-tale si rende disponibile a misura
del legame fideistico che vuole instaurare con il leader di turno e che si basa
sulla capacità del leader di dare risposte semplici a problemi complessi,
tacciando chi vuole cercare risposte complesse di intellettualismo paranoico.
Il desiderio di semplificazione è una molla tipica degli animi non abituati al
pensiero complesso e alla fatica della discussione.
Il problema educativo sta tutto qui. Nella
possibilità che ci si faccia portare dove altri vogliono senza disporre degli
strumenti che servono per capire non solo il “dove”, ma anche il “chi”. Questi
strumenti sono culturali e non garantiscono il successo dell’operazione. I populisti
infatti dispongono oggi di strategie suasorie certamente superiori a quelle dei
loro predecessori (quelli antecedenti alla TV per esempio).
Questo è ben noto a tutti. Ma non esautora
ugualmente l’educazione dal fare la sua parte con il supporto decisivo
dell’istruzione, senza la quale l’educazione si risolve in puro chiacchiericcio
predicatorio e valoriale.
Il sistema scolastico italiano è chiamato in causa
dall’emergenza populista. Alcuni anni fa si è parlato di emergenza educativa in
rapporto alla condizione giovanile. Ricordo bene. Il bullismo, l’uso
sconsiderato dei social e dei cellulari, gli atti di violenza sorreggevano
l’impianto emergenziale del discorso educativo. Di emergenza populista non ho
mai sentito discutere, benché dopo Tangentopoli, quando ancora i nostri
diciottenni non erano nati, il populismo abbia rappresentato il fulcro del
discorso politico pubblico, senza interruzioni (a parte le brevi stagioni di
Prodi e Gentiloni, che non a caso non “bucavano” lo schermo) fino ai nostri
giorni. Quindi stiamo parlando di un fenomeno che, seppur presenta la sua punta
dell’iceberg nel discorso e nella prassi politici, affonda le radici in una
sorta di fisionomia antropologica nazionale, ed è per questo a mio modo di
vedere che finisce per interpellare l’educazione.
Il sistema scolastico italiano, dunque, di fronte
al populismo. Accenno in sintesi a tre essenziali livelli di attenzione.
Il clima
“politico” interno alle scuole. È il primo banco di prova dell’attitudine
partecipativa. La scuola infatti è un microcosmo politico, con tanto di organi
decisionali e regolamenti. Dovrebbero regnarvi, come tratti stilistici
fondamentali, la discussione e l’argomentazione. Trovo che siano i due pilastri
di un’educazione alla cittadinanza democratica. Discutere e argomentare.
All’interno delle aule e negli organi collegiali. È nel conflitto delle
interpretazioni e nell’argomentazione dei punti di vista, infatti, che si
annida la possibilità di smascherare pregiudizi, stereotipi e luoghi comuni.
Tutto ciò di cui si nutre il discorso populista.
L’ethos
culturale. Ma per discutere e argomentare bisogna averne voglia e
soprattutto saperlo fare. Lasciando questo secondo livello alla didattica, mi
fermo sull’ethos culturale, ovvero su quella condivisione di sentire che una
comunità educativa dovrebbe percepire come pertinente alla sua missione. La
condivisione del sentire non ha niente a che vedere con l’omologazione e col
pensiero unico. Condividere il sentire vuol dire qui mettere in comune il desiderio
di fare dell’ambiente scolastico un ambiente tollerante e pluralistico. E
cercare tutte le condizioni e le occasioni per favorire il pronunciamento,
l’approfondimento, il dibattito.
Il ruolo dei
saperi. Lo specifico della scuola è che fa incontrare gli allievi con la
cultura. I saperi sono proprio gli ingredienti di questo incontro. A mio modo
di vedere i saperi dovrebbero essere al servizio dell’ethos culturale
pluralistico di cui ho appena parlato. Devono sapersi trasformare in cultura
personale degli allievi e degli insegnanti. La scuola attraverso i saperi ha la
possibilità di trasformarsi in un forum permanente. Ma una simile promessa
richiede una modalità di trattamento dei saperi che deve fare giustizia di
alcuni nemici storici, proprio quelli che hanno impedito alla cultura della
scuola di costruire la cittadinanza necessaria ad esorcizzare la banalità dei
populismi. Quali sono questi nemici? Anche qui tre essenziali.
La pedanteria.
Si tratta di una categoria-ombrello che accoglie sotto di sé alcuni virus
implacabili: il nozionismo, L’accumulo burocratico del sapere, la trasmissione
unidirezionale, la valutazione numerica. Tutta roba che configura la scuola
quale spazio attento alle formalità e alle carte, ai programmi da svolgere,
alle medie dei voti. Gli insegnanti, all’interno di questo paradigma, sono più
impiegati che intellettuali. E vivono di stereotipi: devo svolgere il
programma, potrebbe fare di più, dilla con parole tue, non è scolarizzato, non
ha metodo di studio, non ha la media del sei ed altri costrutti che rimandano
piuttosto a verifiche pedanti che a veri eventi formativi.
La chiusura
culturale. L’attualità fa capolino fino ai 15 anni. Il triennio della
secondaria superiore sembra poi dimenticare gli anni di nascita dei ragazzi.
Abbiamo fatto cenno a Tangentopoli. Impensabile che in classe si sappia di che
si parli. L’obiezione ipocrita che in classe non si dovrebbe parlare di questi
temi per non condizionare nasconde in moltissimi casi la sostanziale ignoranza
degli stessi, che imbarazza non pochi docenti. La contemporaneità sembra la
grande esclusa dall’orizzonte culturale dei nostri studenti. Quale cittadinanza
si vuole costruire e quale ethos culturale fondato su discussione e
argomentazione può essere praticato senza avere acuta percezione del tempo che
si vive? Non sorprende che il populismo attecchisca dove alligna l’ignoranza.
La
formazione dei docenti. Abbiamo insegnanti che vengono invitati ad
aggiornarsi su tecniche. Compiti autentici, rubriche valutative, progettazione
per competenze. Oppure devono impadronirsi di tutto l’armamentario
neoliberistico che prende il nome di RAV, PDM, PTOF, volto a far crescere la
cultura del Dato, dell’Esattezza e della Numericità. Gli insegnanti sembrano
sommersi da tecniche e protocolli. Di cui peraltro non comprendono la ratio
perché in larghissima misura non hanno contezza della loro origine normativa,
che è sempre un’origine culturale. E il cerchio si chiude.
La normativa
scolastica è figlia di paradigmi culturali. Conoscerla criticamente significa
capire la destinazione di quel che si fa e pertanto crescere in cittadinanza e
senso critico.
Qui infatti è l’approdo della questione. Chi può veicolare cittadinanza
se non cittadini? Capaci di discutere e argomentare? Ethos culturale ed ethos
democratico qui si danno la mano, ed entrambi sono frutti di una paideia.
Perché stupirsi del trionfo italiano dei populismi se la cittadinanza
sonnecchia e la paideia che ne è il nutrimento si attorciglia appresso a utopie
neopositivistiche fatte di statistiche, graduatorie, test, percentuali? Abbiamo
una scuola che si è modernizzata dandosi un sistema nazionale di valutazione,
tanto digitale e tanta chiacchiera sull’inclusione (anche qui sigle: BES, DSA,
PDP, PAI….). Ma nelle classi nessuno sa che cosa sia successo in Italia negli
ultimi quarant’anni, quali siano le tendenze fondamentali del nostro tempo e
che cosa sia questo populismo di cui discutono i talk show.
I nostri alunni si diplomano, il mondo va da
un’altra parte e la scuola recita sempre il suo discorso.
da www.tuttavia.eu
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