L’anno che viene non è un
tuffo nel buio.
È la memoria il vero motore di speranza
«Ogni fine anno ci affacciamo
all’inizio di quello nuovo, con una strana speranza, con tanti piccoli e grandi
propositi». Abbiamo scritta dentro una tensione, un’attesa istintiva di vita. E
Benedetto XVI invitava ad «avere memoria della bontà di Dio»
Mi ha sempre meravigliato, nella
notte di Capodanno, il vedere come anche nei luoghi e nelle case dei più poveri
e sfortunati si festeggi: quanto si attenda con ansia lo scoccare dell’anno
nuovo, e come in un gran rito collettivo si marchi questo passaggio con
brindisi, e fuochi d’artificio, e tappi di bottiglie che saltano con un botto,
lasciando andare generoso lo spumante. Ho sempre osservato queste feste, cui
pure partecipavo, con una tacita domanda che è in fondo la stessa posta dalla
lettrice: sapendo cosa riserva la realtà, come si fa, ogni anno, a sperare
ancora?
Indubbiamente, mi sono detta
crescendo, abita gli uomini una tenace testarda speranza. Abbiamo scritta
dentro una tensione, un’attesa istintiva di vita; e per quanto provati o messi
alle corde, risorge sempre la speranza che i giorni a venire siano migliori. È
una speranza che può virare anche sull'irrazionale, e che qualcuno, e anzi
molti, alimentano leggendo oroscopi, che scrutino nel futuro e annuncino
abbondanza.
Allora quell'istinto naturale di
vita può cadere nell'illusione, nell'autoinganno.
Ma come si fa invece, davanti al
calendario nuovo e immacolato, a nutrire una speranza che sia cristiana e
realistica? Anni fa, nell'ottobre 2011, Benedetto XVI in un’Udienza parlò del
rapporto tra memoria e speranza. Misi da parte quel testo. Benedetto partiva
dal Salmo 136, il Grande Hallel, quello che viene cantato al termine della
Pasqua ebraica ed è un inno di lode e grazie a Dio per ciò che ha fatto per
Israele. La struttura fondante del Salmo, spiegava il Papa, è che «Israele si
ricorda della bontà del Signore. In questa storia ci sono tante valli oscure,
ci sono tanti passaggi di difficoltà e di morte, ma Israele si ricorda che Dio
era buono e può sopravvivere in questa valle oscura, in questa valle della
morte, perché si ricorda. Ha la memoria della bontà del Signore, della sua
potenza; la sua misericordia vale in eterno».
E questo, aggiungeva Benedetto, è
importante anche per noi: avere memoria della bontà di Dio: «La memoria diventa
forza della speranza. La memoria ci dice: Dio c’è, Dio è buono, eterna è la sua
misericordia. E così la memoria apre, anche nell’oscurità di un giorno, di un tempo,
la strada verso il futuro: è luce e stella che ci guida». Imparare dunque a
fare memoria di tutto il bene che ci è stato dato nella nostra vita: madre e
padre, famiglia, amici, insegnanti, lavoro, malattie e guarigioni, sconfitte e
rinascite, e via via tutti i volti e le circostanze che ci hanno accompagnato,
anche nel dolore. Ripercorrendo la nostra storia possiamo ricostruire la trama
sottesa di un disegno che ci ha condotto. Riconoscendo quel percorso come in
filigrana comprendiamo che possiamo fidarci, e affidarci. Che l’anno che viene,
sconosciuto, non è un tuffo nel buio, ma l’andare verso il compimento di noi.
Così la memoria diventa realmente motore di speranza. Autentica, però, e
fortemente radicata: non attesa superstiziosa che si culla nel frastuono dei
fuochi d’artificio. Quei botti della mezzanotte, che mi hanno sempre fatto
pensare a bambini che fanno rumore, perché hanno paura del buio.
Marina
Corradi
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