"Natale
non è solo dei cristiani"
Massimo Cacciari
è un crescendo stizzito, quasi una filastrocca di imprecazioni: «Il Natale dei
panettoni, il Natale delle pubblicità, il Natale dei soldi. Il Natale oggi è
una festina». E nel dirlo si avverte la smorfia di disgusto. «L'indifferenza
avvolge cattolici e laici, non hanno presente il significato sconvolgente della
festa»
"A Orbassano presepe in tutte le
scuole".
Bari si arrende agli stranieri e fa nascere Gesù.
Così la malavita degli stranieri cancella
la messa di Natale. È Natale, la Chiesa batte in ritirata.
La cronaca è un susseguirsi di episodi
mortificanti: la scuola che abolisce il presepe nel segno del politicamente
corretto, il parroco che ha paura di celebrare la messa di mezzanotte, la
comunità che rinuncia ai canti tradizionali per non urtare l'altrui
sensibilità.
Il filosofo si spazientisce di nuovo, poi taglia corto come una
ghigliottina: «Sono i cristiani i primi ad aver abolito il Natale».
Professore,
vuole provocare?
«No, la verità è che l'indifferenza regna
sovrana e avvolge un po' tutti: i laici e i cattolici».
D'accordo,
c'è un Natale dei pacchi e dei regali e poi?
«E poi, io che non sono credente mi
interrogo: c'è un simbolo che ha dato un contributo straordinario alla nostra
storia, alla nostra civiltà, alla nostra sensibilità».
Che
cosa è per lei il cristianesimo?
«Il cristianesimo è una parte
fondamentale del mio percorso, della mia vicenda, è qualcosa con cui mi
confronto tutti i giorni».
Perché
laici e cattolici oggi balbettano davanti all'evento che tagliato in due la
storia?
«Perché non riflettono, perché non fanno
memoria di questa storia così sconvolgente».
Dio
che si fa uomo.
«Capisce? Non Dio che stabilisce una
relazione con gli uomini, ma Dio che viene sulla terra attraverso Cristo.
Vertiginoso».
Forse
per lei e pochi altri.
«Appunto. La nostra società è
anestetizzata, il Natale è diventato una favoletta, una specie di raccontino
edificante che spegne le inquietudini».
Insomma
non si difende più il Natale, come ha scritto sul «Giornale» Alessandro
Sallusti, perché non si sa più cosa è il Natale?
«Esatto. Se posso generalizzare, e so che
da qualche parte ci sono le eccezioni, il laico non si lascia scalfire da
questo scandalo; l'insegnante di religione non trasmette più la forza di questa
storia, ma se la cava con una spruzzata di educazione civica e il prete, spesso
e volentieri, declama prediche, comode comode e rassicuranti, che sono un
invito all'ateismo».
Un
disastro.
«Si è perso l'abc. La prima distinzione
non è fra laico e cattolico, ma fra pensante e non pensante. Se uno pensa, come
pensava il cardinal Martini, allora si interroga e se si interroga prima o poi
viene affascinato dal cristianesimo, dal Dio che si fa uomo scandalizzando gli
ebrei e l'Islam».
Siamo
alle prese con uno scontro di civiltà?
«Ma che scontro. Anche dalle loro parti
si è persa la portata profonda del fatto religioso. Viviamo in un mondo che
dimentica la dimensione spirituale».
Da
dove può partire il dialogo con le altre religioni?
Insomma,
che cosa manca?
«Manca il brivido davanti a una vicenda
cosi grande, incommensurabile. Io vedo nei musei le scolaresche che sostano
davanti ai quadri con soggetto religioso».
Ce
l'ha pure con i liceali?
«No, ce l'ho con i loro professori e non
solo con loro. Questi giovani ricevono nozioni di natura estetica, ma poi se ti
avvicini e chiedi loro: chi è quel santo? È il Battista? È Paolo? È Giovanni?
Ti guardano con occhi sbarrati, non sanno nulla, sono smemorati come il nostro
tempo».
Cacciari,
ma lei è sicuro di non credere?
«Il filosofo non può credere».
Questo,
con rispetto, lo afferma lei.
«Il filosofo non può accettare la lezione
cristiana, però è inquieto e riflette».
Dunque
lei prega?
«La ricerca a un certo punto si avvicina
alla preghiera. Certo, il fedele è convinto che la sua preghiera sia ascoltata,
il filosofo prega il nulla. Però resta stupefatto davanti al mistero. E lo
assorbe, come ho fatto nel mio ultimo libro su Maria: Generare Dio. Pensi, una ragazzetta che è madre di Dio. Da non
credere, anche per chi ci crede».
Stefano Zurlo in il
Giornale.it
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