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mercoledì 28 giugno 2017

RUOLO E RESPONSABILITA' DEGLI ANZIANI

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"..... Noi non siamo geronti: siamo dei nonni, siamo dei nonni. E se non sentiamo questo, dobbiamo chiedere la grazia di sentirlo. Dei nonni ai quali i nostri nipotini guardano. Dei nonni che devono dare loro un senso della vita con la nostra esperienza. Nonni non chiusi nella malinconia della nostra storia, ma aperti per dare questo. E per noi, questo “alzati, guarda, spera”, si chiama “sognare”.
           Noi siamo dei nonni chiamati a sognare e dare il nostro sogno alla gioventù di oggi: ne ha bisogno. Perché loro prenderanno dai nostri sogni la forza per profetizzare e portare avanti il loro compito. Mi viene alla mente quel passo del Vangelo di Luca (2,21-38), Simeone e Anna: due nonni, ma quanta capacità di sognare avevano, questi due! E tutto questo sogno lo hanno detto, a San Giuseppe, alla Madonna, alla gente… E Anna andava chiacchierando qua e là e diceva: “E’ lui! E’ lui!”, e diceva il sogno della sua vita.
           E questo è ciò che oggi il Signore chiede a noi: di essere nonni. Di avere la vitalità di dare ai giovani, perché i giovani lo aspettano da noi; di non chiuderci, di dare il nostro meglio: loro aspettano dalla nostra esperienza, dai nostri sogni positivi per portare avanti la profezia e il lavoro..... "
Papa Francesco, 27 gugno 2017

martedì 20 giugno 2017

PAPA FRANCESCO AGLI EDUCATORI: LA VOSTRA E' UNA MISSIONE DI AMORE ....

PAPA FRANCESCO A BARBIANA

" ........ Sono qui anche alcuni ragazzi e giovani, che rappresentano per noi i tanti ragazzi e giovani che oggi hanno bisogno di chi li accompagni nel cammino della loro crescita. So che voi, come tanti altri nel mondo, vivete in situazioni di marginalità, e che qualcuno vi sta accanto per non lasciarvi soli e indicarvi una strada di possibile riscatto, un futuro che si apra su orizzonti più positivi. 
    Vorrei da qui ringraziare tutti gli educatori, quanti si pongono al servizio della crescita delle nuove generazioni, in particolare di coloro che si trovano in situazioni di disagio. La vostra è una missione piena di ostacoli ma anche di gioie. Ma soprattutto è una missione. Una missione di amore, perché non si può insegnare senza amare e senza la consapevolezza che ciò che si dona è solo un diritto che si riconosce, quello di imparare. 
       E da insegnare ci sono tante cose, ma quella essenziale è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune. 
     Troviamo scritto in Lettera a una professoressa: «Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia».                       Questo è un appello alla responsabilità. Un appello che riguarda voi, cari giovani, ma prima di tutto noi, adulti, chiamati a vivere la libertà di coscienza in modo autentico, come ricerca del vero, del bello e del bene, pronti a pagare il prezzo che ciò comporta. E questo senza compromessi...... "


IL PAPA IN VISITA A BARBIANA. CHI ERA DON MILANI?

Don Lorenzo Milani: 

un “educatore appassionato”

Chiesa di Barbiana / Wikimedia Commons - Horcrux92, CC BY-SA 4.0

C’è grande attesa a Barbiana — una frazione di Vicchio, un comune della città metropolitana di Firenze — per la visita di papa Francesco, che domani, martedì 20 giugno 2017, dopo aver visitato la tomba di Don Primo Mazzolari a Bozzolo, sosterà in preghiera anche sulla tomba di Don Lorenzo Milani (1923-1967) in occasione del 50° anniversario della sua morte.
Il 23 maggio scorso, lo stesso papa Francesco, in un videomessaggio inviato a quanti parteciparono alla presentazione dell’Opera Omnia del priore di Barbiana, lo ricordò come “un credente, innamorato della Chiesa”, un “educatore appassionato” che ha utilizzato “percorsi originali”.
Nella sua vita breve, ma intensa, Don Lorenzo è stato un ottimo interprete della pedagogia moderna e contemporanea, un prete attento ai metodi formativi per i giovani, ma soprattutto per i poveri, al punto che in una Lettera ad una professoressa, scrisse: “Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
Don Lorenzo Milani — secondo quanto riporta la “Fondazione Don Lorenzo Milani”, sul proprio sito — nacque il 27 maggio 1923 a Firenze da una famiglia borghese.
Nel 1930, si trasferisce a Milano dove il giovane Lorenzo effettuò gli studi fino alla maturità classica.
Nel 1942, a causa della guerra, la famiglia Milani fu costretta a ritornare a Firenze.
L’anno precedente, nel 1941, don Lorenzo si appassionò alla pittura, in particolare per quella sacra. Passione che sarebbe alla base del suo desiderio di andar oltre nella conoscenza della Bibbia, in particolare del Vangelo.
In questo periodo incontrò anche colui che divenne il suo padre spirituale, don Raffaello Bensi.
Nel 1943 entrò nel Seminario Maggiore di Firenze. Il 13 luglio 1947 ricevette il sacramento dell’ordine e fu assegnato prima a Montespertoli e poi a San Donato di Calenzano, dove aprì una scuola serale per operai e contadini.
Nel 1954 fu nominato priore di Barbiana, dove fondò una scuola simile a quella di San Donato.
Nel maggio del 1958 pubblicò l’opera “Esperienze pastorali”, ma la lettura di questa fu considerata “inopportuna” dal Sant’Uffizio.
Alla fine del 1960, Don Lorenzo, si ammalò. Il linfogranuloma, di cui soffriva, se lo porterà via sette anni dopo.
Nel 1965 indirizzò una lettera ai cappellani militari della Toscana, che definirono l’obiezione di coscienza: contraria all’amore cristiano e “espressione di viltà”.
Per questa lettera don Lorenzo fu rinviato a giudizio per apologia di reato. Don Milani, per motivi di salute, non fu presente al processo, ma inviò ai giudici uno scritto in sua autodifesa. Inizialmente venne assolto, ma in un secondo momento, quando don Milani era già morto, la lettera venne definitivamente condannata.
Altra lettera importante fu quella scritta con i ragazzi della scuola di Barbiana nel 1966: Lettera ad una professoressa.
Il 26 giugno 1967, a soli 44 anni, don Lorenzo si spense a Firenze.

www.zenit.org 

lunedì 19 giugno 2017

I PERICOLI DI UN MONDO MECCANO-CENTRICO

La macchina si è interposta tra noi, Dio e la natura

Vi sono state epoche in cui l’uomo, nella sua vita individuale e collettiva, era dominato dall’idea di Dio. Tutto ciò che faceva e subiva era interpretato religiosamente. Le sue azioni erano considerate in base alla conformità a principii superiori. Le trasgressioni, quando accadevano, erano sempre sentite come tali: l’uomo peccava allora ad occhi aperti, responsabilmente, conservando in ciò una sorte di ribelle grandezza, o riscattandosi in parte nel metafisico strazio del rimorso di cui si investiva nell’atto stesso di peccare.
Il peccatore sapeva volere e soffrire il suo peccato come il santo voleva e — diversamente — soffriva la sua santità. Il peccatore ed il santo, agli antipodi nella situazione morale si sentivano giudicati da una stessa legge, e ad essa cercavano, con la stessa spontaneità, riferimento, per «fare il punto» del loro itinerario spirituale. Liberi gli individui di deviare a Est o a Ovest, la società era concorde nel riconoscere un unico Nord. E questo Nord era Dio.
In altre epoche l’uomo si è fatto guidare dalla coscienza di se stesso. Dalla coscienza della bellezza e dignità del proprio corpo e della propria anima, dell’importanza e della perfezione dell’uno e dell’altra. Sono le epoche che chiamiamo antropocentriche. Nelle altre, che chiamiamo teocentriche, l’uomo considera specialmente il fatto di trovarsi sul più basso gradino del mondo invisibile, e volge lo sguardo verso il sommo della scala dove stanno i poteri superiori.
Nelle epoche antropocentriche l’uomo s’interessa soprattutto al fatto che questo limite inferiore dell’invisibile costituisce insieme il limite superiore del visibile e perciò da esso si rivolge indietro, a mirare il mondo della natura di cui si sente giustamente il vertice, e tende ad affermare in esso la sua signoria. Non vi è intrinseco antagonismo fra le due posizioni: si tratta solo di un’alterna valutazione e messa in luce.
Poiché l’uomo è un essere necessariamente bifronte. Ogni epoca civile è teocentrica o antropocentrica. La società ideale dovrebbe essere l’uno e l’altro insieme e nello stesso grado: i due aspetti dell’uomo — inferiorità al soprannaturale, superiorità alla natura — ugualmente sentiti e ugualmente tenuti presenti nella speculazione come nell’azione. Tale sarebbe la vera società cristiana: teocentrismo e antropocentrismo insieme: poiché Cristo è Dio e Uomo.
La nostra società non è teocentrica né antropocentrica. Tanto meno è cristiana, poiché il cristianesimo esige tutti e due quegli elementi e noi non ne possediamo più neanche uno. Tanto meno è civile, se diamo ancora alla parola civiltà un contenuto positivo, e non ci rassegniamo a umiliarla nella triste, derisoria inflazione che hanno già subito altre grandi parole come libertà e giustizia. Gli antichi oscillarono fra i valori divini e i valori umani, ora mettendo più forte l’accento sui primi, ora sui secondi.
Ma noi abbiamo soppresso gli uni e gli altri. È in questo che consiste l’essenza mostruosa del mondo contemporaneo, la nostra orrenda novità. Poiché veramente nella nostra storia, non si può più parlare nemmeno in senso lato, di ricorsi. Non c’è avvenimento passato che possa orientarci per scoprire la nostra probabile destinazione. Siamo in un mondo del tutto disancorato, di fronte a un’esperienza ignota e imprevedibile, essendo le sue premesse, le sue condizioni stesse, assolutamente inedite, inedito il principio che ci governa e al quale noi obbediamo.
Gli antichi agivano in nome di Dio o in nome dell’uomo. Ma ad informare le nostre azioni c’è solo un principio meccanico che si contrappone ugualmente a Dio e all’uomo. Il nostro mondo è meccano-centrico. La macchina si è interposta tra noi e Dio, sostituendo alle leggi divine, naturali e rivelate, le proprie leggi, basate solo sui concetti di materia, quantità e movimento. La macchina s’è interposta fra noi e la natura, falsando e deformando il suo volto ai nostri occhi, togliendoci familiarità con esse, rendendocelo incomprensibile.
L’uomo moderno non si considera più l’anello di congiunzione tra il visibile e l’invisibile: è l’esecutore di leggi meccaniche in un mondo meccanico. La macchina non solo è il suo strumento ma è il suo modello e il suo fine. La vita umana tende sempre più a diventare, sul piano intellettivo come su quello pratico, nell’ambito dell’individuo come nell’ambito dello Stato, una perfetta imitazione della macchina. La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra. Non siamo ormai lontani dal Brave New World di Huxley!
Materialismo, senza dubbio, ma bisogna precisare di che specie di materialismo si tratta. La degradazione è più grande di quanto quel termine stesso faccia supporre. «Materialismo» può infatti far pensare che la nostra epoca veda lo sfogo spontaneo dell’animalità dell’uomo, l’esaltazione del suo corpo, come presso le tribù primitive. Ma le cose per noi stanno molto peggio.
Stanno tanto peggio che un semplice materialismo alla maniera maori o malgascia rappresenterebbe, nella nostra situazione, un enorme miglioramento, forse un principio di salvezza. I feticci dei maori e dei malgasci sono più benigni dei nostri. Nella vita di quei popoli, cacciatori, pescatori o pastori, è almeno valorizzato il corpo, ed il corpo è l’uomo, anche se non è tutto l’uomo. Ma il nostro materialismo nega e distrugge anche il nostro corpo.
La decadenza fisica dovuta al ritmo della vita moderna (quel ritmo che è determinato appunto dal progresso meccanico) e alle condizioni sempre più innaturali che formano l’ambiente dell’uomo, non è che troppo evidente. Si ricordi l’analisi che ne faceva, e i gridi di allarme che lanciava, già molti anni or sono, Alexis Carrell. Il nostro corpo è minacciato quanto la nostra anima, la sua resistenza è continuamente diminuita dagli attacchi ora subdoli ora violenti che ci vengono dall’esterno, subisce scosse ed offese profonde che non compensano, a cui anzi per negatività si sommano, le eccitazioni brutali che d’altro canto ci vengono offerte.
Esclusi dalla civiltà come siamo, non abbiamo neanche i benefici fisici della barbarie. E la differenza tra la nostra e la barbarie primitiva sta proprio in questo: la nostra è una barbarie che non fa nemmeno bene alla salute. Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno. Ma più ci interessa la sua rovina mentale. Siamo in un tempo in cui il pensiero è un atto di coraggio e di ribellione.

 
Margherita Guidacci





(articolo tratto da www.osservatoreromano.va)

martedì 13 giugno 2017

NON AMIAMO A PAROLE MA CON I FATTI

Pubblichaiamo il testo completo del messaggio di papa Francesco per la prima Giornata Mondiale dei Poveri, che verrà celebrata domenica 19 novembre prossimo, la 33.ma domenica del Tempo Ordinario. Il tema della giornata è “Non amiamo a parole ma con i fatti”. Il testo è stato presentato oggi, martedì 13 giugno 2017, durante una conferenza stampa in Vaticano.


      " ...... Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita. Infatti, la preghiera, il cammino del discepolato e la conversione trovano nella carità che si fa condivisione la verifica della loro autenticità evangelica. E da questo modo di vivere derivano gioia e serenità d’animo, perché si tocca con mano la carne di Cristo. Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli. Sempre attuali risuonano le parole del santo vescovo Crisostomo: «Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità» (Hom. in Matthaeum, 50, 3: PG 58).
     Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce...... "


sabato 10 giugno 2017

SCUOLA: UMANIZZARE LA GLOBALIZZAZIONE

“Scholas Occurrentes”: il Papa lancia la sfida della globalizzazione “umana”

" .......   Per umanizzare la globalizzazione occorre “includere”, “dare la mano”, “abbracciare”, invece di escludere, ha detto il Papa, il quale ha aggiunto che bisogna rifiutare l’“elitismo”, poiché forma un “gruppo chiuso” ed “egoista”.
In questo modo si diventa incapace di pensare, di sentire, di lavorare con l’altro, ha avvertito Francesco, che ha definito questo atteggiamento una “tentazione del mondo di oggi”.
Il pericolo di questo elitismo è che poi si finisce anche a scegliere soltanto coloro “che possono pagare l’educazione”, ma questo non è la “vera educazione”, ha detto il Papa, che ha usato il neologismo “elitizzare”.
La sfida proposta ai giovani di “Scholas” è quindi “condividere con gli altri le caratteristiche di ogni sassolino”, e questo si fa “umanamente”, “non animalmente”, vale a dire “dialogando, non aggredendo”.
Mentre ha messo i giovani in guardia da una società sempre più “elitista” e sempre meno “partecipativa”, li ha esortati a non “lasciarsi escludere”.

Ognuno di noi ha un senso, ha sottolineato, mostrando di nuovo il sassolino. Ognuno deve quindi scoprire il “suo” senso, per poter condividerlo, ha ricordato il Papa. “Se non si condivide, si finisce al museo: nessuno di voi vuole finire al museo”, ha esclamato sorridendo. ..... "


venerdì 9 giugno 2017

S.O.S. E' URGENTE INVESTIRE IN EDUCAZIONE!

Le carenze educative non sono più solo un fatto culturale ma diventano ogni giorno di più problema di ordine pubblico

«Il miglior investimento? Probabilmente l’educazione. Il miglior investimento infatti è mettere i soldi nel cervello dei figli, nello sviluppo della loro intelligenza, della loro capacità di essere creativi, competenti, adatti al mondo nuovo che si sta aprendo».
Se gli adulti seguissero il consiglio di Piero Angela e investissero qualche soldo in più in educazione, meno sangue e meno lacrime bagnerebbero le nostre strade. Perché ormai di questo si tratta: le carenze educative non sono più solo un fatto culturale – e già la questione sarebbe assai grave e delicata – ma diventano ogni giorno di più problema di ordine pubblico, di osservanza dei più banali principi della convivenza civile, addirittura di sopravvivenza. A Mileto, ad esempio, un quindicenne ha ucciso un coetaneo a colpi di pistola per un commento sgradito sotto una foto pubblicata su facebook. A Reggio Calabria, pochi giorni prima, un giovane pregiudicato aveva ridotto in fin di vita un anziano sacerdote a calci ed a pugni perché aveva osato sgridare lui ed i suoi compagni che giocavano a pallone (a mezzanotte!) davanti alla canonica, urlando e schiamazzando. Ergo: doveva avere una bella lezione.
A parte i singoli episodi, in generale è opportuna, anzi doverosa una riflessione sulla qualità e l’efficacia dell’educazione che le famiglie impartiscono ai figli. Questione non privata e confinata tra le mura domestiche, ma assolutamente di rilevanza pubblica e sociale: il rischio evidente è che la carenza educativa faccia saltare gli equilibri della convivenza e quel che resta (poco!) dell’osservanza delle regole, schiudendo le porte ad un’ordalia di egoismi e prevaricazioni difficile – se non impossibile – da arginare.
Educare è cosa del cuore. Le parole, pur importanti, servono fino a ....


domenica 4 giugno 2017

PENTECOSTE: CHIAMATI ALLA TESTIMONIANZA

Lo Spirito Santo ha manifestato la sua presenza agli uomini sotto forma non soltanto di colomba, ma anche di fuoco. 
Nella colomba viene indicata la semplicità, nel fuoco l’entusiasmo per il bene.
 Papa Gregorio I  (o Gregorio Magno, 540 – 604)

Lo Spirito realizza l’unità: collega, raduna, ricompone l’armonia: «Con la sua presenza e la sua azione riunisce nell’unità spiriti che tra loro sono distinti e separati» (Cirillo di Alessandria, Commento sul vangelo di Giovanni, XI, 11). Cosicché ci sia l’unità vera, quella secondo Dio, che non è uniformità, ma unità nella differenza....
Lo Spirito del perdono, che tutto risolve nella concordia, ci spinge a rifiutare altre vie: quelle sbrigative di chi giudica, quelle senza uscita di chi chiude ogni porta, quelle a senso unico di chi critica gli altri. Lo Spirito ci esorta invece a percorrere la via a doppio senso del perdono ricevuto e del perdono donato, della misericordia divina che si fa amore al prossimo, della carità come «unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato» (Isacco della Stella, Discorso 31) ....
Camminare insieme, lavorare insieme. Amarci. Amarci. E insieme cercare di spiegare le differenze, metterci d’accordo, ma in cammino! Se noi rimaniamo fermi, senza camminare, mai, mai ci metteremo d’accordo. E’ così, perché lo Spirito ci vuole in cammino.
Chiediamolo allo Spirito Santo, fuoco d’amore che arde nella Chiesa e dentro di noi, anche se spesso lo copriamo con la cenere delle nostre colpe: “Spirito di Dio, Signore che sei nel mio cuore e nel cuore della Chiesa, tu che porti avanti la Chiesa, plasmandola nella diversità, vieni. Per vivere abbiamo bisogno di Te come dell’acqua: scendi ancora su di noi e insegnaci l’unità, rinnova i nostri cuori e insegnaci ad amare come Tu ci ami, a perdonare come Tu ci perdoni. Amen”.
Papa Francesco
Leggi: PENTECOSTE - Omelia 
          PENTECOSTE - Vegiia