Il
codice virile
Lo psicoterapeuta Marchesini: «Dove sono
più i veri uomini?
La nostra è una società irresponsabile, in
cui contano solo i “like”.
Riscopriamo le virtù del cavaliere, di colui
che è pronto a dare la vita per il bene degli altri»
Intervista di ANTONIO
GIULIANO
Quando il gioco si fa
duro, scendono in campo i veri uomini. Ma questa è una società di “mammolette”,
tutt’altro che virile. Bombardati da modelli e messaggi effeminati, dell’uomo
maschio se ne son perse le tracce. Abbondano invece i fifoni e i “mammoni” e
anche il “macho”, il palestrato con tatuaggio, in realtà nasconde una
personalità fragile e insicura. È un quadro impietoso ma documentato che
Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta, ha già fatto emergere in un
saggio controcorrente Quello che gli uomini non dicono (Sugarco). Da studioso
consapevole della posta in gioco ha pensato bene di rilanciare il tema con un nuovo
manuale impavido che punta in alto e fa riscoprire l’orgoglio agli uomini (ma
di riflesso anche alle donne) della propria identità di genere: Codice
cavalleresco per l’uomo del terzo millennio (Sugarco, pagine 144, euro
12,50).
Maschi
si nasce (checché ne dica l’ideologia gender), ma uomini si diventa è il
cardine del suo ragionamento. Però abbiamo smarrito la stessa etimologia del
termine “uomo”.
«Esatto. Il greco lo
definisce con due parole: anthropos e aner. Il primo indica l’essere umano di
sesso maschile, il secondo l’uomo pienamente realizzato, l’eroe. Così i latini
usavano homo e vir da cui virtus (la virtù) vis (forza) e virilitas (virilità).
L’essere umano di sesso maschile nasce homo (o anthropos) e deve diventare vir
(o aner) cioè forte, coraggioso, virtuoso. Il dovere connesso al nascere
maschio è di diventare uomo, di realizzare quel potenziale donatoci al
concepimento di diventare un eroe».
Perché
non sentiamo più questo compito?
«L’umanità ha sempre
abitato un mondo metafisico, nel quale la realtà non era limitata ai nostri
sensi. Ogni donna e ogni uomo sapeva di avere un compito da realizzare, un progetto
da compiere, dei ta- lenti da mettere a frutto. Ora viviamo in un mondo in cui
non c’è un domani, un orizzonte, un fine: la vita è un eterno presente senza
senso. Il problema è che una vita senza significato è, come diceva Viktor
Frankl, una vita grigia, vuota, impossibile. E anche la ricerca spasmodica del
piacere è una conseguenza dell’impossibilità di vivere una vita senza uno
scopo».
A che
cosa serve un codice cavalleresco?
«È una guida per
l’uomo di oggi per riscoprire se stesso. Un compendio tutto fuorché “buonista”.
Il cavaliere non è tale per nascita, ma per virtù, non ha privilegi, ma doveri,
che egli accetta liberamente. Il cavaliere è generoso e domina le passioni
senza farsi dominare perché le indirizza verso il bene.
È un uomo che teme più la vergogna e il
peccato della morte stessa. Anzi sacrificare la propria vita per il bene degli
altri è il suo destino, il suo compimento».
Lei
ne fa una questione di onore, ma gli adulti oggi sembrano più attratti dai
social network.
«L’onore non coincide
con la reputazione. L’onore dipende dalle virtù della persona, non da quello
che altri pensano di lei. Le due cose non coincidono anzi spesso sono in
antitesi. “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” dice il Vangelo. E
in effetti Gesù che incarnava ogni virtù, non godeva di ottima reputazione. La
nostra società senza onore - è basata sulla reputazione. Come dimostra il
successo dei social, dove agisce il meccanismo perverso dei “like” o dei
“followers”. Di avere cioè l’approvazione degli altri anche se estranei. Ma chi
elemosina approvazione da chiunque è generalmente una persona molto insicura».
In
questa crisi del maschio, a farne le spese più di tutti oggi è la figura del
padre.
«È il grande assente.
E difatti la nostra società, materna, iperprotettiva, ci induce a essere
timorosi. È la mamma che dice: “Non farlo, che ti fai male”, “È pericoloso”; è
invece il padre che ci incoraggia a rischiare, a osare, a lasciare le sottane
materne per prendere il largo nel pericoloso mondo. La vita è rischio e la
nostra civiltà è stata costruita da coraggiosi, non da vili. Ma oggi prevale il
lamento o l’assicurazione che non si avranno conseguenze. Siamo circondati da
persone che vogliono avere rapporti sessuali ma non la gravidanza, vogliono
avere figli ma devono essere sicuri che saranno sani e belli. E poi sempre a
scaricare la responsabilità sugli altri: “Mio figlio è un bravo ragazzo
prendetevela con i veri delinquenti”… Stiamo allevando una società di
irresponsabili».
Tra
le virtù del codice c’è la lealtà…
«Ormai scomparsa.
Basta vedere la crisi del matrimonio. Il tradimento (considerato ormai
fisiologico) e il divorzio non sono altro che una rottura del giuramento, una
slealtà. “Se le cose vanno male” - si obietta - “perché restare insieme?”.
Perché si è promesso e le promesse si fanno per quando le cose vanno male,
altrimenti non ci sarebbe bisogno di promettere. Ma si sa la fedeltà ha un
prezzo e oggi nessuno è educato a pagare per le proprie scelte».
Perché
lo sport è un’ottima palestra di virtù?
«Chi ha fatto sport sa
che l’avversario è quello che abbiamo dentro di noi: paure, insicurezze,
limiti. Colui che abbiamo davanti ci dà l’occasione di superare le nostre
fragilità. Nello sport non importa vincere o perdere, ma come si vince e come
si perde. La storia (vera) di Rocky Balboa lo dimostra ».
Un eroe anche del cinema, come
Braveheart o Batman…
«Sono modelli. Batman
è uno che combatte il crimine a mani nude, e senza uccidere mai nessuno;
indossa la maschera non per viltà, ma per proteggere chi gli sta vicino. È il
Cavaliere Oscuro. Un cavaliere, perché il suo destino è quello di morire
combattendo il male. Oscuro perché non esita a sacrificare la propria
reputazione, ad accettare di essere deriso e calunniato per il bene delle persone
che gli sono affidate».
Un’arma potente è l’educazione.
«La nostra civiltà è
stata costruita sul potere delle storie: dai poemi omerici, alle chanson de
geste, alla letteratura per l’infanzia, alle storie della Bibbia. Noi stessi
del secolo scorso abbiamo capito cos’era un uomo leggendo Sandokan, Michele
Strogoff, L’ultimo dei mohicani ... Ma adesso non raccontiamo più nulla ai
ragazzi: gli diamo in mano un tablet, uno smartphone perché non diano fastidio.
Riprendere in mano questo patrimonio millenario di storie è la chiave per dare
ancora un orizzonte a milioni di uomini e donne».
Tratto da www.avvenire.it
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