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martedì 25 aprile 2017

25 aprile - FARE MEMORIA PER COSTRUIRE UN FUTURO MIGLIORE


Alle fronde dei salici
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
tra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese:
oscillavano lievi al triste vento.

Salvatore Quasimodo

lunedì 24 aprile 2017

DON LORENZO MILANI: UN PRETE "SCHIERATO" CON IL VANGELO


        […] Il fascino di don Lorenzo Milani – morto a Firenze, il 26 giugno 1967 – e l’originalità del suo messaggio restano più vivi che mai. Perché gli scritti e le dure battaglie che affrontò scuotono tuttora le coscienze intorpidite, mettendole di fronte alle ingiustizie e alle connivenze o miopie.
     In breve, la sua ribellione obbediente – peraltro tuttora fonte di opposte valutazioni, come del resto si fa con altri «profeti» di quel tempo – è lì a ricordarci che soltanto dall’interno, anzitutto di noi stessi, è possibile cambiare i meccanismi perversi anche delle istituzioni.    
       Come sacerdote profetico e lungimirante, fu osteggiato per il suo voler rimanere al di sopra delle divisioni politiche e ideologiche che laceravano l’Italia nel secondo dopoguerra, mentre fu altrettanto incompreso come uomo folgorato dall’utopia evangelica, che volle realizzare nella Chiesa schierandosi dalla parte degli ultimi.
          Concretamente, don Milani tentò gli esperimenti di avanguardia del regnum Dei prima tra gli operai e i contadini di San Donato, proprio quando, colmata l’ignoranza che li estraniava dal resto della società civile, prendevano coscienza del loro valore di uomini; e poi nella sperduta canonica di Barbiana, in mezzo a un gruppetto di bambini che, divenuti famiglia accogliente in una scuola non discriminata, imparavano un sapere globale, tipico dell’umanesimo integrale cristiano, e preparavano così un futuro migliore: per sé e per la polis.
      Scriveva infatti: «La scuola siede tra passato e futuro e deve averli presenti entrambi. […] E allora il maestro deve essere per quanto può “profeta”, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi oggi vediamo solo in confuso»..........


Articolo pubblicato nella rivista CIVILTA' CATTOLICA


Papa Francesco: DON MILANI, UN GRANDE EDUCATORE!


" ...... Con queste parole mi rivolgevo al mondo della scuola italiana, citando proprio don Milani: «Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre riesce ad esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato ad imparare – è questo il segreto, imparare ad imparare! –, questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano che era un prete: Don Lorenzo Milani». Così mi rivolgevo all’educazione italiana, alla scuola italiana, il 10 maggio 2014.......

Il Signore era la luce della vita di don Lorenzo, la stessa che vorrei illuminasse il nostro ricordo di lui. L’ombra della croce si è allungata spesso sulla sua vita, ma egli si sentiva sempre partecipe del Mistero Pasquale di Cristo, e della Chiesa, tanto da manifestare, al suo padre spirituale, il desiderio che i suoi cari “vedessero come muore un prete cristiano”. La sofferenza, le ferite subite, la croce, non hanno mai offuscato in lui la luce pasquale del Cristo Risorto, perché la sua preoccupazione era una sola, che i suoi ragazzi crescessero con la mente aperta e con il cuore accogliente e pieno di compassione, pronti a chinarsi sui più deboli e a soccorrere i bisognosi, come insegna Gesù (cf Lc 10,29-37), senza guardare al colore della loro pelle, alla lingua, alla cultura, all’appartenenza religiosa........


Martedì, 20 giugno 2017 
Papa Francesco si recherà in  pellegrinaggio alle tombe di don Mazzolari e don Milani.

Programma

7.30Decollo in elicottero dall’eliporto Vaticano
9.00Atterraggio nel campo sportivo di Bozzolo (Mantova)
Parrocchia di San Pietro: preghiera sulla tomba di Don Primo Mazzolari (1890-1959) Il Santo Padre tiene un discorso commemorativo ai fedeli presenti in chiesa
10.30Decollo dal campo sportivo di Bozzolo
11.15Atterraggio nello spiazzo sottostante alla chiesa di Barbiana
Visita in privato nel Cimitero, e preghiera sulla tomba di Don Lorenzo Milani (1923-1967), in occasione del 50° anniversario della sua morte
nella chiesa: incontro con i discepoli di don Milani ancora viventi e breve visita nella canonica
nel giardino adiacente
il Santo Padre tiene un discorso commemorativo, alla presenza dei discepoli, di un gruppo di sacerdoti della Diocesi e di alcuni ragazzi ospiti di case-famiglia
12.30Partenza da Barbiana
13.15Rientro in Vaticano

domenica 23 aprile 2017

INSEGNARE OGGI IN CLASSI COMPLESSE

Si è tenuto a Milano il Seminario interregionale “Insegnare oggi in classi complesse. Strategie, strumenti, competenze”.
L’iniziativa era stata organizzata con l’intento di offrire un momento di studio in “stile AIMC”.
La giornata condotta da Giuliana Paterniti Bardi, presidente della sezione di Saronno, ha visto la partecipazione di più di duecento insegnantidei vari ordini di scuola provenienti da tutta la Lombardia, ma anche da Emila, Piemonte, Veneto, Friuli, Toscana.
Intenso il programma (in AIMC non si scherza!) e grande l’interesse (per tutta la giornata l’attenzione è stata molto viva).
Il tema, che sta a cuore a molti docenti dei vari ordini di scuola proprio per la complessità delle classi che oggi si impone sempre più, voleva essere anche una sorte di “ponte” tra l’esperienza del seminario estivo 2016, che ha portato i partecipanti a riflettere sulla didattica attiva proprio per far fronte alla “vivace” realtà dei nostri alunni, e quella in cantiere per il 2017, dove l’accento sarà posto sulle competenze professionali del docente.
Proprio per questo sono stati molti i volti che si sono ritrovati dopo la bella esperienza di Eupilio dello scorso agosto e che già si sono dati appuntamento per il prossimo agosto a Susa.
La giornata di Milano si è aperta con il saluto di Monsignor Tremolada, incaricato dai vescovi lombardi a presiedere la Consulta di Pastorale scolastica regionale (ma anche membro di quella nazionale della CEI).
Il vescovo ci ha offerto una breve ma intensa e stimolante riflessione sulla educazione, prendendo spunto anche da alcuni Rapporti europei, e sulla complessità.
Una classe complessa non è necessariamente una classe complicata, precisa. E non sempre il termine complessità ha una accezione negativa, così come non è necessariamente opposto a quello di semplicità.
Ha richiamato poi il valore dell’associazionismo, “da recuperare, perché è un tesoro, perché è utile agli insegnanti ed alla società”.
Chiudendo il saluto Mons. Tremolada ha espresso apprezzamento per il lavoro degli insegnanti, in prima linea nella società e, per chi vive la testimonianza cristiana, anche nella Chiesa.

Il prof. Pierpaolo Triani, docente di Didattica all’università Cattolica di Piacenza, si è poi addentrato nel tema della giornata. Una relazione ricca di spunti di riflessione, di “racconti” dalla vita scolastica, di “indicazioni” per gli insegnati.
È emerso così il ritratto della classe come ambiente di vita, come risorsa per gli apprendimenti, come luogo di cura, in cui didattica e relazionalità non vanno distinte, ma cresciute insieme.
Il prof. Triani ha delineato anche il ritratto del docente, che ha un ruolo fondamentale nella costruzione della classe: stile comunicativo, coerenza con i fini educativi, autorevolezza sono alcune parole chiave richiamate.
Gli insegnanti sono attivatori culturali, non custodi di bambini. La professione educativa che a loro appartiene è culturale e relazionale insieme, anche perché l’insegnamento non è una trasmissione, ma una mediazione.
Insegnare in classi complesse, ha proseguito il prof. Triani, comporta anche relazionarsi con famiglie sempre più complesse. Ma non per questo si deve modificare la natura del colloquio tra insegnanti e genitori, che non deve mai essere di tipo clinico o assistenziale, ma solo didattico ed educativo.

Il seminario è poi proseguito nei gruppi di approfondimento, alcuni dedicati alle strategie, altri agli strumenti, altri alle competenze in relazione alla gestione delle classi complesse.
Ai presenti sono stati offerti ulteriori spunti di riflessione e qualche “esercizio di riflessività” per mettere in relazione l’esperienza personale quotidiana con gli stimoli offerti nella giornata.
I docenti hanno potuto confrontarsi su alcune esperienze di scuola da loro stessi individuate, mettendole in relazione con la riflessione portata avanti nella giornata.

Le conclusioni sono state affidate alla dott.ssaSonia Claris, presidente provinciale AIMC di Bergamo, nonché Dirigente Scolastico distaccato presso la Cattolica di Milano.
Dal suo intervento cogliamo alcune frasi-snodo che ogni docente si è portato a casa per proseguire la rielaborazione ed individuare strade nuove per essere “competente”, cioè in grado di affrontare i problemi e di risolverli.
ØL’insegnante non gestisce le classi complesse: le abita.
ØOggi i microcosmi della complessità cambiano in continuazione e questo mette gli insegnanti in difficoltà. Per avere l’energia necessaria ogni docente deve attrezzarsi, tenersi in forma, curare la professione.
ØIl docente si costruisce nel tempo, con spazi, esperienze e materiali adeguati nella collegialità, perché l’insegnamento non è una professione solitaria.
ØLa complessità spinge sempre più l’insegnante ad abitare la didattica, costruendo mediatori e predisponendo ambienti di apprendimento.
ØAbitare la complessità vuol dire creare tessuti di relazioni e competenze, opporsi alla routine, riflettere sulle pratiche, porsi domande per mettere a fuoco il problema.
ØL’associazione professionale è una comunità di professionisti dove gli insegnanti possono incontrarsi per riflettere, agire, aiutarsi vicendevolmente a dare ragione delle proprie scelte. L’associazione offre la possibilità di una co-costruzione del sapere professionale.

Possiamo dire che veramente il seminario di Milano è stato fruttuoso!
Ora a noi il compito di darne seguito...nella nostra pratica quotidiana.
M. Disma Vezzosi

sabato 22 aprile 2017

GIORNATA MONDIALE PER LA TERRA. Papa Francesco: "Abbiamo bisogno di una solidarietà universale!"

L’Earth Day (Giornata della Terra) è la più grande manifestazione ambientale del pianeta, l’unico momento in cui tutti i cittadini del mondo si uniscono per celebrare la Terra e promuoverne la salvaguardia. La Giornata della Terra, momento fortemente voluto dal senatore statunitense Gaylord Nelson e promosso ancor prima dal presidente John Fitzgerald Kennedy, coinvolge ogni anno fino a un miliardo di persone in ben 192 paesi del mondo. Le Nazioni Unite celebrano l’Earth Day ogni anno, un mese e due giorni dopo l'equinozio di primavera, il 22 aprile.......

       1. «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».....
    13. La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato.      L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi.......
      14. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche.       Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio».[22] 
     Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità. ......
Papa Francesco



martedì 18 aprile 2017

STUDENTI, MATEMATICA e GIOCO d'AZZARDO

Chi vince in matematica non cede alle macchinette 

La conferma da uno studio scientifico: 
gli studenti più bravi conoscono bene i rischi

La conferma 'statistica' e ufficiale dell’ipotesi secondo cui gli studenti con voti migliori in matematica mostrano minor interesse al gioco d’azzardo e, conseguentemente, ne saranno toccati con scarsa probabilità, ad alcuni potrà suonare ovvia. Ma tale finora non era. La validità scientifica della teoria è arrivata dai risultati dell’indagine condotta nel 2016 con la collaborazione tra l’Ateneo di Bologna e di Nomisma nell’ambito della campagna dell’Osservatorio 'Young Millennials Monitor - Giovani e Gioco d’Azzardo': un’inchiesta a largo spettro su un campione di oltre 11 mila giovani tra i 14 e i 19 anni ed efficace nel cogliere meccanismi inediti a monte del gioco d’azzardo.
Scorrendo i dati, emergono diversi aspetti: alcuni preoccupanti, altri incoraggianti. Si scopre, ad esempio, che tra gli studenti i 'frequent players', coloro che cioè giocano più volte in una settimana, sono ben il 17%. Non tutti i giovani, inoltre, sono ugualmente esposti all’azzardo: con il 59% i maschi si mostrano decisamente più propensi rispetto alle coetanee (38%), così come altro fattore di incidenza non ininfluente risulta l’area geografica di provenienza: a una distribuzione del 54% di giovani giocatori del Centro-Sud corrisponde una media del 42% al Nord.
Oltre a genere e provenienza, emergono con chiarezza altri elementi discriminanti: se, come atteso (essendo per legge vietato tra i minorenni), l’azzardo risulta più diffuso tra i maggiorenni (53%), è preoccupante il 47% di under 18 dediti al gioco. E a seguire, si nota che anche il corso di studi è condizionante, prevalgono i giocatori tra gli studenti di istituti tecnici e professionali che tra i liceali (52 e 42%). E, a quanto pare, parecchio conta l’esempio in famiglia, se a giocare sono più disposti i figli di genitori con l’abitudine al gioco (64 a 9!). Infine, dall’inchiesta emerge la diretta correlazione tra disposizione al gioco e rendimento scolastico negli studi matematici: tra chi ha mediamente votazioni insufficienti la quota di giocatori è del 51%, mentre si attesta al 46% tra gli studenti con la 'media' dell’8 o più.
Anche il possesso di specifiche competenze probabilistiche aiuta a tenere lontano dall’azzardo: la quota di giocatori del 55% tra chi non è in grado di risolvere semplici quesiti probabilistici si riduce al 46 tra chi è più abile.
Veniamo, dunque, a sapere che matematica e probabilità -o, forse, più in generale, cultura e senso critico- ci rendono meno vulnerabili al gioco d’azzardo. Ma ci proteggono solo da questo o ci aiutano a destreggiarci in diverse situazioni della vita?
A questo punto, è utile ricordare lo psicologo tedesco Gerd Gigerenzer che ammonisce a non confondere il mondo del certo, del rischio e dell’incerto: e, a scanso di equivoci, cosa sia il primo, è efficacemente espresso da Franklin, secondo cui 'nulla può dirsi certo, a parte la morte e le tasse'. Il gioco d’azzardo è l’unico esempio di rischio, di un mondo, cioè, in cui le alternative, le conseguenze e le probabilità sono ben note, perché, scommettendo 1 euro sul rosso al tavolo della roulette, conosciamo già le due possibilità: rosso o nero. Così come note sono le conseguenze: con il rosso, ci ritroveremo 2 euro, con il nero nulla. Addirittura possiamo calcolare la probabilità di ciascuna alternativa: 18 su 37 quella di un numero rosso, 19 su 37 che avvenga diversamente. Nel campo del rischio, dove le scelte sono convenienti o meno, un semplice calcolo matematico può aiutare a comprendere se ci si trova di fronte alla strada giusta. Per questo la matematica può dare una grossa mano - ne abbiamo avuto una conferma sperimentale con i risultati dell’indagine di Nomisma - perché può spiegarci, ad esempio, che nella roulette come in tutti gli altri giochi d’azzardo, le probabilità e i relativi incassi sono studiati in modo da far perdere qualsiasi giocatore, che sia più o meno fortunato, dopo un gran numero di giocate.
Peccato, però, che il gioco d’azzardo non serva nemmeno come palestra per allenarsi all’esercizio della vita, durante la quale non capiterà mai di muoverci nella sfera del rischio -se non giocando d’azzardo, appunto- ma in quella, ben più vasta e sfumata, dell’incerto.

«Utili anche educazione alle finanze e creatività»
«Non sono solo azzardo e matematica ad essere estremamente connessi, come confermato dall’inchiesta di Nomisma, ma anche educazione finanziaria e pensiero creativo» spiega Diego Rizzuto, matematico torinese del team Taxi 1729, società fondata nel 2009 con il fisico Paolo Canova e con Sara Zaccone, che in collaborazione con Regioni, Comuni ed Università, la Rai e La7, il Festival della Scienza di Genova, la Fondazione Crt e numerose altre istituzioni locali e associazioni si occupa di comunicazione scientifica e tratta la problematica del gioco d’azzardo anche usando la ricerca concessa loro dall’istituto bolognese.
«Il nostro obiettivo – prosegue Canova – è svelare regole, segreti di Pulcinella e falsi miti dell’immenso fenomeno del gioco d’azzardo in Italia e siamo convinti che la matematica sia uno strumento di prevenzione agli eccessi del gioco».
 Ben prima, dunque, delle recenti ricerche, la pratica adottata dal trio di scienziati si rifaceva all’'antidoto logico' della matematica come esercizio al pensiero critico e, soprattutto, occasione per formare un’opinione consapevole nei cittadini, specialmente nei ragazzi, in un ambito in cui molto si basa sulla scarsa conoscenza delle leggi che governano la sorte. 
A questo scopo è stato inevitabile allargare lo sguardo all’economia comportamentale. «Si tratta di una scienza ancora poco nota con la quale ci posizioniamo con un piede nella matematica e con l’altro nella psicologia – chiarisce Sara Zaccone – e per la quale stiamo collaborando con il Centro di Logica, Linguaggio e Cognizione dell’Università di Torino».
Un tassello in più nella conoscenza della dipendenza dal gioco.


GIOVANI E LAVORO. i giovani hanno bisogno di un "patto"

da Il Sole 24 Ore 

di Massimo Cioffi, Daniele Ferrero e Roberto Lancellotti*

     Il dibattito «Tra scuola e lavoro», ospitato dal Sole 24 Ore negli ultimi giorni, tocca uno dei temi chiave per il futuro del Paese. La crisi ha raddoppiato i numeri nell’ultimo decennio e li ha resi drammatici, soprattutto al Sud: più di un quarto dei 10 milioni di giovani tra i 15 e i 30 anni sono disoccupati o inattivi e tanti altri sono occupati ad altra precarietà. Tenuto conto dei genitori e dei nonni, più di 1 adulto su 5 ha “il problema in casa”: non sorprende che nei sondaggi il tema sia costantemente tra le principali cause di sfiducia sul futuro, con tutte le implicazioni sociali, economiche e politiche del caso. Ma il problema va oltre la crisi: il sistema Italia non è capace di creare opportunità per i giovani. Infatti abbiamo uno “spread” con l’Europa di natura strutturale: è lo spread della disoccupazione giovanile (fino a 30 anni) rispetto a quella adulta (oltre i 35 anni).        Per l’Italia tale rapporto è di 3,5:1. Quasi tutta Europa gira appena sopra 2:1, la Germania a poco più di 1:1. E non dipende solo dalla crisi (questo spread non è cambiato molto da 25 anni) e non è un problema solo del Sud (ci sono province del Nord con spread 5:1, ad esempio Cuneo).
Gli articoli di Carlo Carboni sul Sole dell’11 aprile e di Federico Butera e Andrea Illy sul Sole del 13 aprile hanno ben descritto le cause di tale situazione e la loro natura strutturale, che vanno ben oltre il ciclo economico ma includono sbilanciamento tra domanda delle imprese e scelte formative dei giovani, carenza di competenze adeguate ai bisogni del sistema economico, inadeguatezza dei canali di «matching». Hanno spronato la politica a prendere iniziative concrete, costruendo su quello che hanno fatto i governi Renzi e Gentiloni. E hanno anche formulato proposte di intervento, assolutamente condivisibili, incentrate sulla «terra di mezzo» del passaggio scuola-lavoro e sulla necessità di maggiore coordinamento tra tutti gli attori coinvolti (la «situation room»).
    La vera sfida è come inserire tali soluzioni in un programma organico che consenta di affrontare le numeriche del problema: come detto 2,5 milioni di giovani sotto i 30 anni disoccupati o Neet, alimentati da più di 400mila giovani in uscita ogni anno dal sistema scolastico che meritano ben altre opportunità......


BUONA SCUOLA: RIFORME IN CORSO. QUANTI ANNI CI VORRANNO?

   
Riformare il sistema d’istruzione, si sa, è cosa né semplice né immediata, e la Buona Scuola non sfugge a questa regola.
    Nel suo impianto normativo la legge 107/15 ha previsto due fasi temporali: norme di applicazione immediata e norme delegate da attuarsi successivamente. Le prime hanno cominciato ad entrare in vigore immediatamente già dal 1° settembre 2015, mentre le seconde troveranno applicazione in un arco di tempo compreso tra il 1° settembre 2017 e l’anno scolastico 2025-26.
    Il nuovo esame di maturità, ad esempio, troverà applicazione nel giugno 2019, il nuovo profilo di funzionamento degli alunni disabili dal 1° settembre 2019, il nuovo PEI dalla medesima data, la messa a regime della nuova istruzione professionale dal 2022-23, l’accesso ai concorsi per i nuovi  insegnanti tecnico-pratici dopo il 2024-25.
   Insomma, con questa legge per riformare il sistema d’istruzione nazionale ci vorrà circa un decennio, un tempo infinito durante il quale può capitare tutto, compreso l’intervento di una nuova maggioranza politica che, non condividendo l’impianto riformista della Buona Scuola, lo potrebbe modificare azzerandolo o innovandolo radicalmente, prima che esso possa trovare completa attuazione.
     Considerato che la riforma della Buona Scuola non è stata accompagnata da un’ampia condivisione politica e sociale che avrebbe potuto metterla al riparo da pericolose incursioni, quel rischio si aggrava. E così la scuola si troverebbe a sopportare ulteriori modifiche radicali apportate dalla maggioranza politica di turno, come avviene, a cadenza di tre o quattro anni, da almeno tre lustri.


lunedì 17 aprile 2017

PASQUA: IL GRANDE RITO DEL PASSAGGIO

Perché avvertiamo il bisogno di risorgere.

Il grande rito del Passaggio


di Luigi Sanlorenzo0


       “Per quanto gli uomini, ammucchiati in uno stretto spazio a centinaia di migliaia, cercassero di isterilire quella terra sulla quale si stringevano; per quanto coprissero quella terra di pietre affinché nulla più ci crescesse; per quanto estirpassero ogni stelo di erba che vi germogliava; per quanto appestassero l’aria col carbon fossile ed il petrolio; per quanto tagliassero le piante e cacciassero tutti gli animali e tutti gli uccelli; pur tuttavia la primavera era la primavera, anche in città. Il sole riscaldava, l’erba spuntava, cresceva e verdeggiava dovunque non la strappavano, e non solo sulle zolle dei giardini pubblici, ma anche fra i ciottoli delle vie; e le betulle, i pioppi, i viscioli allargavano i loro rami e le loro foglie odorose, ed i tigli gonfiavano le loro gemme pronte a sbocciare; i corvi, i passeri ed i colombi preparavano allegramente i loro nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri delle case, riscaldati dal sole. Ed erano allegri gli uccelli, gl’insetti, e le piante, ed i bimbi. 
    Ma gli uomini – gli uomini adulti – non cessavano dall’ingannare e dal tormentare se stessi e gli altri. Gli uomini consideravano per savia ed importante non quella mattinata primaverile, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutti gli esseri, quella bellezza che predisponeva alla pace, all’accordo, all’amore; ma invece solo sacro ed importante ciò che essi stessi avevano inventato per dominare gli uni sugli altri ”. Così Lev Nikolàevič Tolstoj nel celebre incipit di Resurrezione, ….





venerdì 14 aprile 2017

PASQUA: LASCIAMOCI AVVOLGERE DAL MISTERO DI GESU' - AUGURI!



".....Gesù ha portato nel mondo una speranza nuova e lo ha fatto alla maniera del seme: si è fatto piccolo piccolo, come un chicco di grano; ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi: è “caduto in terra”. Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte come un seme si lascia spezzare sotto terra. Proprio lì, nel punto estremo del suo abbassamento – che è anche il punto più alto dell’amore – è germogliata la speranza. Se qualcuno di voi domanda: “Come nasce la speranza”? “Dalla croce. Guarda la croce, guarda il Cristo Crocifisso e da lì ti arriverà la speranza che non sparisce più, quella che dura fino alla vita eterna”. E questa speranza è germogliata proprio per la forza dell’amore: perché l’amore che «tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,7), l’amore che è la vita di Dio ha rinnovato tutto ciò che ha raggiunto. Così, a Pasqua, Gesù ha trasformato, prendendolo su di sé, il nostro peccato in perdono. Ma sentite bene come è la trasformazione che fa la Pasqua: Gesù ha trasformato il nostro peccato in perdono, la nostra morte in risurrezione, la nostra paura in fiducia. Ecco perché lì, sulla croce, è nata e rinasce sempre la nostra speranza; ecco perché con Gesù ogni nostra oscurità può essere trasformata in luce, ogni sconfitta in vittoria, ogni delusione in speranza. Ogni: sì, ogni. La speranza supera tutto, perché nasce dall’amore di Gesù che si è fatto come il chicco di grano in terra ed è morto per dare vita e da quella vita piena di amore viene la speranza.
           Quando scegliamo la speranza di Gesù, a poco a poco scopriamo che il modo di vivere vincente è quello del seme, quello dell’amore umile. Non c’è altra via per vincere il male e dare speranza al mondo. Ma voi potete dirmi: “No, è una logica perdente!”. Sembrerebbe così, che sia una logica perdente, perché chi ama perde potere. Avete pensato a questo? Chi ama perde potere, chi dona, si spossessa di qualcosa e amare è un dono. 
     In realtà la logica del seme che muore, dell’amore umile, è la via di Dio, e solo questa dà frutto. Lo vediamo anche in noi: possedere spinge sempre a volere qualcos’altro: ho ottenuto una cosa per me e subito ne voglio un’altra più grande, e così via, e non sono mai soddisfatto. È una brutta sete quella! Quanto più hai, più vuoi. Chi è vorace non è mai sazio. E Gesù lo dice in modo netto: «Chi ama la propria vita la perde» (Gv 12,25). Tu sei vorace, cerchi di avere tante cose ma … perderai tutto, anche la tua vita, cioè: chi ama il proprio e vive per i suoi interessi si gonfia solo di sé e perde. Chi invece accetta, è disponibile e serve, vive al modo di Dio: allora è vincente, salva sé stesso e gli altri; diventa seme di speranza per il mondo. Ma è bello aiutare gli altri, servire gli altri … Forse ci stancheremo! Ma la vita è così e il cuore si riempie di gioia e di speranza. Questo è amore e speranza insieme: servire e dare.
        Certo, questo amore vero passa attraverso la croce, il sacrificio, come per Gesù. La croce è il passaggio obbligato, ma non è la meta, è un passaggio: la meta è la gloria, come ci mostra la Pasqua. E qui ci viene in aiuto un’altra immagine bellissima, che Gesù ha lasciato ai discepoli durante l’Ultima Cena. Dice: «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21). Ecco: donare la vita, non possederla. E questo è quanto fanno le mamme: danno un’altra vita, soffrono, ma poi sono gioiose, felici perché hanno dato alla luce un’altra vita. Dà gioia; l’amore dà alla luce la vita e dà persino senso al dolore. L’amore è il motore che fa andare avanti la nostra speranza. Lo ripeto: l’amore è il motore che fa andare avanti la nostra speranza. E ognuno di noi può domandarsi: “Amo? Ho imparato ad amare? Imparo tutti i giorni ad amare di più?”, perché l’amore è il motore che fa andare avanti la nostra speranza.
      Cari fratelli e sorelle, in questi giorni, giorni di amore, lasciamoci avvolgere dal mistero di Gesù che, come chicco di grano, morendo ci dona la vita. È Lui il seme della nostra speranza. Contempliamo il Crocifisso, sorgente di speranza. A poco a poco capiremo che sperare con Gesù è imparare a vedere già da ora la pianta nel seme, la Pasqua nella croce, la vita nella morte....
Papa Francesco


Altare della reposizione -Pasqua 2017
Choesa Madre di Marineo (Pa)

giovedì 13 aprile 2017

BILANCIO DI FINE QUARESIMA

A pochi giorni dalla Pasqua mi volto indietro e provo a vedere quanta strada ho percorso ed in che modo. Com'è stata la mia Quaresima? Dove sono finiti gli impegni e i propositi? Ci provo, ma non riesco a concentrarmi, tento però finisco per mortificarmi, per autogiustificarmi, per mettere quasi delle crocette su "fatto" e "non fatto", "buono" o "cattivo".
 
Incapace di trovare la via e più confuso di prima, mi confronto con un sacerdote che accende un faro anzi due: «Caro mio, la vita e il tempo della Quaresima non sono una questione di burocrazia, di cartellini timbrati, di raggiungimento di standard elevati. Sotto questo profilo, seppur sforzandoci, saremmo sempre degli sconfitti e la nostra "borsa" crollerebbe comunque perdendo punti sull'indice dell'umanità, della spiritualità, della santità».
 
In effetti, il rischio è quello di girare su se stessi, di guardarsi in uno "specchio delle brame" dal quale attendiamo la risposta di essere "più belli" nel nostro piccolo grande reame. Così, ancora il sacerdote: «Non temere, non autocommiserarti, non cercare scuse, non dimenticarti di chi sei figlio! Chiedi aiuto, poiché sai bene che, nel bisogno, il coraggio si vede nell'avere l'umiltà di chiedere aiuto ed in fondo lo stai già facendo. Visto che sei un insegnante, come "contrappasso", ti do un compito per casa: leggi e medita i Padri della Chiesa, ma senza stressarti».
 
Tornato a casa, rispolvero alcuni libri su cui in passato mi ero soffermato molto per studio, per lavoro e per passione, testi ricchi della sapienza dei Padri, e provo a fare i compiti o meglio gli esercizi. Gregorio di Nazianzo mi dice sulla carità: «Credi che l'amore del prossimo non sia per te obbligatorio, ma libero? Che non sia una legge, ma un consiglio? Anch'io lo desideravo davvero e ne ero convinto. (...) se mi volete ascoltare, o servi di Cristo, o fratelli e coeredi miei, fino a quando abbiamo tempo, visitiamo Cristo, curiamo Cristo, nutriamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo. (...) Ma poiché il Signore di tutti vuole misericordia e non sacrificio e la vera bontà è superiore a mille agnelli grassi, questa mostriamo a lui nei bisognosi che oggi giacciono a terra prostrati».
 
Parole che non sono retroattive, ma un progetto per il presente come quelle di Girolamo sul digiuno: «Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t'arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. (...) Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l'ira, non dico un'intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione».
 
E poi mi soffermo su Agostino che parla della preghiera: «Quando dunque noi vogliamo che il Signore esaudisca le nostre preghiere, chiediamo a lui non in un qualunque modo, ma nel suo nome, cioè nel nome del Salvatore. E non chiediamo quanto è nocivo alla nostra salvezza (...). Ma se invece chi crede in lui, per ignoranza chiede qualcosa che è dannoso alla sua salvezza, non chiede nel nome del Salvatore: il Signore non sarebbe suo Salvatore, se gli concedesse ciò che non torna a vantaggio della sua salvezza eterna. (...) Ecco perché colui che non soltanto è il Salvatore ma è anche il buon maestro, per poter esaudire tutto ciò che chiediamo, ci insegna cosa dobbiamo chiedere nella stessa preghiera che ci ha data».
 
È tardi, chiudo il libro con queste "carezze dei Padri", certo che i veri esercizi cominciano ora!
  
Marco Pappalardo
 

(articolo tratto da www.vinonuovo.it)

lunedì 10 aprile 2017

A PROPOSITO DI DISABILI

È ORA DI CURARE CON L’EDUCAZIONE

Oltre l’eccesso di medicalizzazione psichiatrica dei ragazzi

Un’epidemia di malattie psichiatriche sembra aver colpito le scuole italiane. L’Istat segnala che negli ultimi anni sono raddoppiate le certificazioni di disabilità (legge 104), quadruplicati i Dsa (Disturbi specifici di apprendimento – legge 170/2010) e da ultimi sono dilagati i cosiddetti Bes (Bisogni educativi speciali). 

Per salire su ciascuno di questi binari occorre una diagnosi neuropsichiatrica e quindi si ha diritto a un insegnante di sostegno o a un programma specifico con facilitazioni attinenti anche alle prove di verifica. Il risultato finale è che in una classe elementare italiana un bambino su 4 è in media portatore di una diagnosi attinente a un deficit specifico. Da ultimo la pratica sempre più diffusa nelle scuole di attivare degli screening a tappeto alla ricerca di carenze e disturbi di varia natura ha portato un’ulteriore impennata delle segnalazioni. Fra le tante osservazioni critiche che si possono sollevare rispetto a questo inquietante trend, due appaiono particolarmente urgenti.

La prima riguarda la naturale immaturità dei bambini e anche dei ragazzi, un’immaturità fisiologica, neurologica ed emotiva che li porta a comportamenti apparentemente insensati, ma quasi sempre compatibili con la loro età acerba.

Confondere questa naturale differenza infantile con le patologie appare non solo un azzardo professionale, ma una vera e propria violazione dei diritti dei bambini. La seconda questione riguarda la rinuncia della scuola ad utilizzare i propri specifici strumenti educativi.

Di fatto succede che se un alunno mostra un disturbo quale vivacità, scarsa concentrazione, aggressività, disinteresse, invece di attivare i necessari dispositivi pedagogici si chiede alla famiglia di inviarlo immediatamente al servizio di neuropsichiatria per un controllo.

In questo modo la scuola si sottrae alla propria vocazione diventando totalmente subalterna al sistema medico sanitario.

Lo stesso avviene per il bullismo, non più considerato un problema educativo, ma un affare di cui devono occuparsi le forze dell’ordine. In realtà i dispositivi pedagogici non mancano: il lavoro di gruppo, il mutuo insegnamento, i laboratori maieutici, la disposizione condivisa della classe piuttosto che quella frontale, il circle time, tanto per citarne alcuni. La diagnosi neuropsichiatrica deve essere l’ultima spiaggia, non la prima scelta.

Infine, appare del tutto evidente che le famiglie italiane hanno un grave problema nell’educazione dei figli. Sono diventate troppo emotive, nervose, con scarsissima coesione educativa fra i genitori stessi. Prima di psichiatrizzare una generazione di figli il buon senso dice di verificare se i basilari educativi sono presenti o se viceversa la confusione pedagogica negli adulti crea disturbi e scompensi nei più piccoli.

Nel 2009 ho proposto il concetto di malattia dell’educazione per denotare tutti gli stati infantili e preadolescenziali di disagio e seria difficoltà che sono da riportare a deficit educativi dei genitori. La vera emergenza è la disattenzione crescente nei confronti dell’educazione quasi che i bambini possano farcela da soli senza un cantiere ben organizzato da genitori, insegnanti e adulti.

Messe insieme l’incapacità d’interpretarsi in senso educativo e l’alienazione infantile nei confronti del gioco, della motricità e della natura, si capisce come le difficoltà emotive non appartengano a motivazioni neurologiche, ma prevalentemente a situazioni ambientali dove l’innaturalità della vita impedisce anche il recupero di eventuali ritardi. Ecco perché si può curare con l’educazione. Aiutare gli adulti a rimuovere le proprie carenze educative, ripristinando i basilari minimi, consente di uscire dal tunnel della patologizzazione. E permette di offrire un’alternativa, una svolta di coraggio educativo per portare un contributo decisivo, tappa per tappa, alla crescita dei bambini.

Il Convegno 'Curare con l’educazione. Come evitare l’eccesso di medicalizzazione psichiatrica dei bambini e dei ragazzi' di sabato 8 aprile a Milano organizzato dal CPP (Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione di conflitti) in collaborazione con diverse associazioni educative e con il Comune di Milano è stato un primo tentativo di utilizzare la buona educazione come cura e liberare le nuove generazioni dagli eccessi di medicalizzazione nella loro crescita emotiva e cognitiva. 

Daniele Novara