Vent’anni fa, nel giorno di Natale, moriva il grande pensatore di
origini ebraiche. La sua instancabile ricerca sul volto come metafora
attraverso cui praticare il rispetto e la pietà verso l’uomo.
In
quel magnifico testo che è Adieu à Emmanuel Lévinas (sintesi perfetta di rigore
analitico e ammirazione incondizionata) a un certo punto Derrida scrive: «Qui
non posso e neppure vorrei tentare di misurare qualche parola sull’opera di
Emmanuel Lévinas, di cui ricorrono a Natale i vent’anni dalla morte.
Non se ne
vedono nemmeno più i confini tanto è ampia (...) Si può prevedere con certezza
che secoli di letture vi si dedicheranno (...) si potrà certamente dire che il
risuonare di questo pensiero ha cambiato il corso della riflessione filosofica
del nostro tempo e della riflessione sulla filosofia, su ciò che la rapporta
all’etica, a un altro pensiero dell’etica, della responsabilità, della
giustizia, dello Stato, ecc. a un altro pensiero dell’altro, a un pensiero più
nuovo di tante altre novità perché si rapporta all’anteriorità assoluta del
volto d’altri» ( J. Derrida, Addio, Jaca Book).
È vero: quando si pensa a
Lévinas si pensa subito all’etica, al volto dell’altro come origine dell’etica;
d’altra parte è anche vero che così facendo, abbandonandosi a questa evidenza
fin troppo luminosa, si rischia anche di lasciarsi sfuggire qualcosa di
essenziale di questo pensiero ad un tempo originale e antico. Infatti, era fin
troppo facile prevederlo, a partire da una certa interpretazione dell’opera
levinassiana, anche se non solo da essa, si è presto sviluppata in questo
ultimo decennio un’articolata e insistente retorica dell’altro che ha finito
per rendere quasi insopportabile il suono stesso della parola “etica” e
certamente sospetto il continuo rinviare al tema della “responsabilità per gli
altri”......
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