Gli archeologi documentano che dai Sumeri a oggi ogni generazione che si sussegue all’altra, una volta raggiunta la maturità, ha finito per dipingere quella successiva come “perduta”. Non sorprende dunque che, fuori e dentro la chiesa cattolica, questa immagine sia tornata ad imporsi. Non sorprende, ma ha i suoi costi. Di “generazione perduta” ha parlato a suo tempo il presidente Monti alludendo alla sua irrecuperabilità dal punto di vista materiale.
E, restando alla Chiesa, l’idea di giovani sbandati dal punto di vista spirituale e morale è andata sempre più imponendosi dietro le quinte, anche se mascherata dall’immagine “ufficiale”, dei grandi raduni di massa e delle interviste televisive, in cui non si può non dire: “vedete che i giovani sono con noi?” Dietro il sipario però l’immagine che è diventata prevalente è pessimistica e può essere così riassunta. I giovani si sono allontanati dalla Chiesa, ciò vuol dire che si sono allontanati da Dio, anzi si sono allontanati dalla Chiesa perché si sono allontanati da Dio.
Per quali ragioni si sono allontanati da Dio? Perché hanno perso le antenne della fede: sono diventati increduli e indifferenti. Conseguenze di tutto questo (e anche conferma della diagnosi infausta) sono lo stato di deriva morale in cui versano, il relativismo e il nichilismo di cui soffrono. Si tratta di una lettura ecclesiocentrica, a ben guardare nient’altro che il riemergere del vecchio motto patristico extra ecclesia nulla salus, a suo tempo messo in ombra dal Concilio. Le connessioni proposte sono in verità errate, la diagnosi è per lo più infondata. Anche perché, c’è qualcuno in Italia che scriva di giovani in modo documentato e non impressionistico? E dunque, come dai tempi dei Sumeri, siamo invitati a ragionare su quello che i giovani sembrano (a chi giovane non è più), non su quello che sono o possono essere....
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