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di Giuseppe Savagnone
Uno
scontro senza precedenti
Ha
suscitato un’ondata di violentissime polemiche l’intervento, al Consiglio di
sicurezza, del segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, a proposito
della drammatica crisi esplosa il 7 ottobre scorso con l’attacco di Hamas ad
Israele.
L’ambasciatore
israeliano all’ONU, Gilad Erdan ha immediatamente reagito con estrema durezza
al discorso di Guterres, definendolo «completamente disconnesso dalla realtà
della nostra regione» e chiedendo le sue immediate dimissioni: «Il segretario
generale dell’ONU, che mostra comprensione per la campagna di sterminio di
massa di bambini, donne e anziani, non è adatto a guidare l’ONU. Lo invito a
dimettersi immediatamente».
Gli
ha fatto eco il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, anche lui presente
alla riunione: «Signor segretario generale, in che mondo vive? Sicuramente non
nel nostro». L’ONU, ha aggiunto il ministro israeliano, «non avrà motivo di
esistere» se le nazioni che la compongono non si schiereranno dalla parte di
Israele «e dalla parte dei principi fondamentali dell’umanità descritti nella
Carta dell’ONU».
Su questa linea, un comunicato il Forum delle famiglie dei dispersi e dei rapiti
nell’attacco di Hamas ha definito «scandalose» le dichiarazioni di Guterres.
Secondo il Forum, il segretario dell’ONU «ignora vergognosamente il fatto che
sabato 7 ottobre è stato perpetrato un genocidio contro il popolo ebraico e ha
trovato un modo indiretto per giustificare gli orrori che sono stati commessi
contro gli ebrei».
La
clamorosa rottura ha avuto anche degli effetti pratici. Continuando la sua
aspra polemica con Gutierres, Erdan ha detto, parlando alla Radio militare:
«Viste le sue parole, negheremo il rilascio dei visti ai rappresentanti
dell’ONU. Del resto, abbiamo già rifiutato il visto al sottosegretario per gli
affari umanitari Martin Griffiths. È arrivato il tempo di dare loro una
lezione».
È
stata questa la posizione anche di molti giornali italiani. «Repubblica», con
un titolo di scatola in prima pagina, dava così la notizia: «L’ONU attacca
Israele. “Hamas ha le sue ragioni”». (A dire il vero, è stato notato che la
frase “Hamas ha le sue ragioni” attribuita a Guterres e virgolettata, come una
citazione testuale, in realtà il segretario dell’ONU non l’ha mai pronunziata)
Anche
secondo l’ANSA Guterres «accusa» Israele, provocando uno «scontro» alle Nazioni
Unite.
E
uno dei più autorevoli opinionisti italiani, Paolo Mieli, sul «Corriere della
sera», ha commentato: «Il segretario generale Antonio Guterres, dopo parole di
condanna all’attacco del 7 ottobre che potevano apparire insincere, ha
ricondotto la responsabilità dell’accaduto a “cinquantasei anni di soffocante
occupazione israeliana”. Un’enormità. Parole dall’innegabile sottinteso
giustificazionista».
«L’atto
originario dell’attuale conflitto», continua Mieli nel suo editoriale –
significativamente intitolato «Il mondo alla rovescia» – , «gli oltre mille
abitanti di Israele sgozzati, bruciati vivi e in parte rapiti, quell’atto è
pressoché scomparso dall’universo della comunicazione. Ha dovuto cedere il
passo al “genocidio” perpetrato contro la popolazione di Gaza cui allude il
segretario dell’ONU». E definisce «impressionante» questo modo di guardare «il
mondo alla rovescia».
Il
discorso di Guterres
Ma
che cosa ha detto effettivamente il segretario generale dell’ONU? Riporto di
seguito la traduzione testuale delle parti più significative del suo
intervento:
«Ho
condannato in modo inequivocabile gli orribili e inauditi atti di terrore
compiuti da Hamas il 7 ottobre in Israele. Nulla può giustificare l’uccisione,
il ferimento e il rapimento deliberato di civili – o il lancio di razzi contro
obiettivi civili. Tutti gli ostaggi devono essere trattati umanamente e
rilasciati immediatamente e senza condizioni».
Al
tempo stesso, però, ha continuato, «è importante riconoscere che gli attacchi
di Hamas non sono venuti fuori dal nulla. Il popolo palestinese è stato
sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione. Hanno visto la loro terra
costantemente divorata dagli insediamenti e tormentata dalla violenza; la loro
economia soffocata; la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le speranze
di una soluzione politica alla loro situazione sono svanite».
Poi
ha aggiunto: «Ma le rimostranze del popolo palestinese non possono giustificare
gli spaventosi attacchi di Hamas. E questi terribili attacchi non possono
giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese».
E
che una simile “punizione” sia in atto, secondo Guterres, è innegabile:
«L’incessante bombardamento di Gaza da parte delle forze israeliane, il livello
di vittime civili e la distruzione di quartieri continuano ad aumentare e sono
profondamente allarmanti.
Piango
e onoro le decine di colleghi dell’ONU che lavorano per l’UNRWA [l’Ufficio
delle Nazioni Unite per i rifugiati] – purtroppo almeno 35 – uccisi nei
bombardamenti su Gaza nelle ultime due settimane (…).
Proteggere
i civili non significa ordinare a più di un milione di persone di evacuare
verso sud, dove non ci sono ripari, cibo, acqua, medicine e carburante, e poi
continuare a bombardare il sud stesso. Sono profondamente preoccupato per le
chiare violazioni del diritto umanitario internazionale a cui stiamo assistendo
a Gaza. Voglio essere chiaro: nessuna parte di un conflitto armato è al di
sopra del diritto internazionale umanitario».
Quanto
al “dopo”, rimane valida la linea indicata dall’ONU nel 1947, che costituisce
ancora oggi, secondo Guterres, «l’unica base realistica per una vera pace e
stabilità: la soluzione dei due Stati. Gli israeliani devono vedere
concretizzate le loro legittime esigenze di sicurezza e i palestinesi devono
vedere realizzate le loro legittime aspirazioni a uno Stato indipendente, in
linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite, il diritto internazionale e gli
accordi precedenti».
Una
strage senza cause?
Ho
voluto riportare per intero i brani più discussi del discorso di Guterres,
perché mi sembra che la prima considerazione da fare riguardi le
interpretazioni che ne sono state date. In cui a me pare evidente che si siano
attribuite al segretario dell’ONU – nel caso di «Repubblica» addirittura con un
falso – una «comprensione» (Erdan), anzi addirittura «una giustificazione»
(Cohen) della strage compiuta da Hamas, che nel suo discorso sono non solo
assenti, ma esplicitamente escluse.
Guterres
ha detto chiarissime parole di condanna all’attacco del 7 ottobre – perché mai
dovrebbero «apparire insincere» (Mieli)? – e non ha affatto minimizzato quelli
che definito «gli orribili e inauditi atti di terrore compiuti da Hamas».
Ha
solo aggiunto – ed è questo che ha fatto infuriare i rappresentanti di Israele
– una ovvietà, e cioè che «è importante riconoscere che gli attacchi di Hamas
non sono venuti fuori dal nulla». Non c’è bisogno di uno storico di professione
per sapere che ogni evento, anche il più spaventoso, ha le sue spiegazioni.
E,
in questo caso, la spiegazione – che non significa giustificazione – è che «il
popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione».
«Un’enormità. Parole dall’innegabile sottinteso giustificazionista», ha
commentato Mieli.
Ma
neppure la giusta indignazione per la ferocia dimostrata dagli uomini di Hamas
può far dimenticare che in questi ultimi cinquant’anni Israele ha
sistematicamente ignorato e violato tutte le risoluzioni dell’ONU che gli
imponevano di rispettare i diritti dei palestinesi.
Un
atteggiamento abituale di aperto disprezzo delle indicazioni di questo
organismo – che raccoglie 193 Stati di tutto il pianeta e costituisce ancora,
malgrado la sua attuale debolezza, l’unica autorità a livello internazionale –
che ora si manifesta nella pretesa di farne dimettere il segretario perché non
è in linea con la politica della Stato ebraico
(addirittura, l’ONU, secondo Cohen, «non avrà motivo di esistere» se le
nazioni che la compongono non si schiereranno dalla parte di Israele») e nella scelta di «dargli una lezione»,
negando il visto di entrata ai suoi rappresentanti.
È
difficile non avere l’impressione di una seria difficoltà di auto-critica, da
parte di Israele (come del resto da parte di Hamas), che purtroppo esclude ogni
possibilità di un futuro di pace.
Se
non si accetta di mettere in relazione ciò che accaduto con l’occupazione da
parte israeliana del territorio che l’ONU, con la risoluzione del 1947, aveva
assegnato al popolo palestinese; con la costruzione del muro che lo ha spaccato
in due; con la illegale proclamazione di
Gerusalemme – la città santa degli ebrei, ma anche dei musulmani e dei
cristiani (che per questo, sempre secondo la decisone dell’ONU, avrebbe dovuto
rimanere internazionale) – nella
capitale dello Stato ebraico; con il moltiplicarsi degli insediamenti
illegali di coloni israeliani sulle
residue terre rimaste in mano agli antichi abitanti palestinesi; con la
recentissima scelta del governo di Netaniahu di promuoverne altri e di
presentare un progetto in cui lo Stato palestinese non figura affatto; se non
si accetta, insomma, che «gli attacchi di Hamas non sono venuti fuori dal
nulla», come ha detto Guterres, la sola risposta possibile ad essi è una
violenza assolutamente simmetrica, che sta uccidendo donne e bambini
palestinesi per vendicare quelli ebrei
massacrati il 7 ottobre.
Una
causa, a dire il vero, è stata indicata nei riferimenti dei rappresentanti e
delle famiglie israeliani alla «campagna di sterminio di massa» e al
«genocidio». Si evoca l’ombra della Shoah e dell’antisemitismo e c’è davvero
una frangia dell’opinione pubblica mondiale che, nelle manifestazioni di questi
giorni, è sembrata animata dall’odio verso gli ebrei come tali.
Ma
non si può ricondurre automaticamente a questo antisemitismo ogni critica alla
politica dello Stato ebraico, specialmente quando questo, a sua volta, dà
l’impressione di violare negli altri quei diritti umani elementari di cui in
passato è stato privato e di trasformarsi, da vittima, in carnefice.
Di
fronte all’antisemitismo, noi siamo tutti ebrei. Ma nessuno può criminalizzare
il fato che – di fronte a ciò che sta accadendo in questi giorni a Gaza – siamo anche tutti palestinesi.
*Scrittore
ed editorialista. Pastorale della Cultura della Diocesi di Palermo.
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