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domenica 30 luglio 2023

LA GMG CI INTERPELLA


“La Gmg interpella 
pure noi adulti. 

Anche sui giovani 

che non ci andranno”

Le domande che la Giornata dovrebbe suscitare 

a educatori, genitori, preti.

 

-         di Lello Ponticelli

-          

Migliaia di giovani stanno andando alla Gmg di Lisbona e tanti stanno indirizzando loro parole di incoraggiamento, augurio e ammirazione.

Mi sono chiesto: c’è qualche parola per noi adulti?

Che significato hanno per noi – genitori, sacerdoti, educatori – queste frotte di giovani che, zaino in spalla, ogni paio d’anni vediamo sciamare gioiose e colorate per le vie del globo, per incontrare l’uomo “vestito di bianco”?

E come ci interpella chi non parte, senza magari neanche essersi lasciato sfiorare dall’idea di farlo pur essendo, talvolta, cresciuto in famiglie convintamente cristiane? In tutta verità non saprei rispondere, ma so che queste domande potrebbero regalare a noi adulti un qualche coinvolgimento originale, inaspettato, ma interessante.

Del resto, non è proprio il nostro mestiere di adulti quello di non lasciare i giovani “orfani di genitori vivi” o privi di riferimenti significativi e autorevoli?

Non è una bella sfida quella di continuare ad essere appassionati trasmettitori e custodi di sogni, capaci di questionare e questionarsi?

Per esempio, a me prete viene da chiedermi, con rammarico e nostalgia, cosa mi sono perso non avendo mai partecipato ad una Gmg.

Poi, però, prevale il ricordo e il gusto di quanto ho guadagnato ogni volta che ho dato la possibilità a qualche “protagonista” di raccontarsi e raccontarmi aspettative e desideri, viaggio, percorso, scoperte, entusiasmi o delusioni, speranze e quella voglia matta, una volta tornato, di impegnarsi per cambiarsi e cambiare il mondo.

Provo ancora gioia e gratitudine per chi mi ha confidato che la Gmg ha riempito di vita e di bellezza la sua vita, in quel momento e da quel momento in poi.

Ricordo il racconto di chi, proprio grazie alla Gmg aveva lasciato ogni indugio per scegliere un “per sempre” da vivere con passione e prontezza nel matrimonio, nella consacrazione, nel farsi prete, superando paure e resistenze.

Mi metto, poi, nei panni di qualche genitore e mi ritrovo, con lui e come lui, ora scettico, ora curioso e interessato, o forse cinico o indifferente, o magari solo incredulo dinanzi a un proprio figlio o figlia che con tanti coetanei prendono ancora sul serio quanto dice e fa la Chiesa!

E immagino di fermarmi pensoso, forse per la prima volta attraversato da qualche dubbio: che questo figlio, questa ragazza, questi giovani abbiano incontrato veramente Qualcuno per cui vale la pena vivere, soffrire, gioire, impegnarsi, lottare, amare, sperare, sognare!

Ed io?

In certi momenti immagino l’educatore, il confratello, il genitore deluso e dispiaciuto perché proprio la figlia, il gruppo giovani, quel ragazzo da cui tanto ci si aspettava, niente sa e niente vuol sapere della Gmg.

Empatizzo e mi ritrovo anche io a fare i conti con la sensazione di aver sbagliato, di non essere stato di buon esempio o, forse, di non aver insistito abbastanza o di aver insistito troppo.

Oppure sento la tentazione di fare la morale.

E se invece quell’indolenza, quella passività o quel menefreghismo individualista o ribelle, stanno a dire di possibili semi sparsi che porteranno frutto a suo tempo? Andassero anche sciupati, il Dio Seminatore seminerà ancora in quei giovani cuori.

Non è Costui che siamo chiamati ad imitare, paradossalmente proprio dinanzi ai possibili fallimenti educativi?

Mentre scrivo mi chiama un’amica e mi racconta un sogno “fresco di nottata”: la Madonna, avvolta di luce in mezzo agli alberi, parla a un ragazzo e a una ragazza che, immobili, ascoltano.

Non si coglie il contenuto, ma si vede l’avvicinarsi della luce a lei, che osserva i due giovani curiosa e consolata, pensando che potrebbero essere i suoi figli.

E mi ricordo che Papa Francesco ha affidato a Maria la guida dei giovani verso Lisbona; perciò, mi piace leggere il sogno così: Maria, con una fretta piena d’amore, sta parlando e parla a tutti i giovani, a chi va e a chi non va alla Gmg; ma parla anche a noi adulti, specialmente quando il mistero che sono questi figli ai nostri occhi si fa più fitto.

Maria consola e provoca noi e loro, indicando il Figlio: “Fate quello che vi dirà”.

In fretta.

E sogno anche io ad occhi aperti!

www.avvenire.it


sabato 29 luglio 2023

A LISBONA CON IL PAPA

 Il programma della Gmg a Lisbona, 

dove l’Oceano unisce  i giovani del mondo

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni ha presentato ai media l’ormai imminente Gmg di Lisbona, dove il Papa andrà dal 2 al 6 agosto per il suo 42.mo viaggio internazionale.

 Iscritti oltre 330 mila giovani da 200 nazioni

-        -  di Paolo Ondarza -  Città del Vaticano

Nel segno della speranza, quella incarnata dai giovani in un mondo lacerato da guerra e sofferenza. È il viaggio che Papa Francesco si appresta a compiere alla volta di Lisbona per la celebrazione della 37.ma Giornata mondiale della Gioventù.

Speranza, dopo la pandemia

È il 42mo viaggio internazionale di Papa Francesco che in dieci anni di pontificato ha già visitato 60 Paesi. In Portogallo era già stato nel 2017 in occasione del centenario delle apparizioni della Madonna. Anche in quell’occasione chiese ai cristiani di essere “speranza”, gli uni per gli altri. A presentare ai giornalisti i dettagli dell'appuntamento di Lisbona questa mattina è stato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni. “È la prima Gmg dopo la pandemia”, ha ricordato. Doveva infatti svolgersi nel 2022, ma per il perdurare dell’emergenza sanitaria fu scelto di rinviarne la celebrazione.

Già 330 mila iscritti

Oltre 330 mila i giovani iscritti provenienti da 200 Paesi. 20 mila i volontari giunti da 150 nazioni. Più di 700 vescovi e 20 cardinali si metteranno al loro servizio guidandoli nelle catechesi sul tema “Alzati”. “Questi incontri - ha detto Bruni - avranno un carattere sinodale, circolare di conversazione”.

I Papi, il Portogallo e Fatima

Prima di Francesco, ha ricordato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, altri tre Papi sono stati in Portogallo e a Fatima, “luogo in cui affidare a Maria i grandi dolori del mondo”. Paolo VI indicò la preghiera come mezzo per ottenere la pace, “dono di Dio , ma anche frutto della collaborazione dell’uomo”. Quattro le visite nel Paese di Giovanni Paolo II, la cui storia è strettamente intrecciata con Fatima. Nel decimo anniversario della beatificazione dei pastorelli Francesco e Giacinta anche Benedetto XVI si recò nel santuario mariano evidenziando l’attualità e vitalità del suo messaggio.

In preghiera per la pace

La pace sarà sicuramente al centro delle preghiere di questa Gmg. Interpellato dai giornalisti Bruni non conferma, ma non esclude, che il Papa possa incontrare giovani russi e ucraini. Anche alla domanda se è previsto un incontro con le vittime della pedofilia, il portavoce vaticano risponde sottolineando l’ormai nota sensibilità e attenzione di Francesco su questi temi: “Se questi incontri avvengono, avvengono in modo riservato anche per facilitare il processo di guarigione delle vittime. Se ci dovesse essere un incontro sarà data notizia dopo il suo svolgimento”.

I pronunciamenti pubblici di Francesco saranno undici in tutto: nove discorsi e due omelie. Solo il primo sarà pronunciato in italiano, gli altri in spagnolo. “È la lingua del Papa”, spiega Matteo Bruni, “con la quale può raggiungere il maggior numero di persone”.

Il programma

La partenza dall’aeroporto romano di Fiumicino è fissata alle 7.50 di mercoledì 2 agosto. L’arrivo a Lisbona è previsto alle 10. Un’ora di fuso orario con Roma. Il Papa sarà accolto nel Palazzo Nazionale di Belèm dal presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa. Francesco si affaccerà dalla finestra per un saluto. Nello stesso quartiere di Belèm, presso il centro culturale, si svolgerà l’incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. Circa mille le persone presenti. Nel pomeriggio presso la nunziatura apostolica Francesco vedrà il presidente dell’Assemblea della Repubblica e il primo ministro. Successivamente nel monastero dos Jerònimos, accolto dal Patriarca di Lisbona, celebrerà i vespri con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali. L’indomani, giovedì 3 agosto, nella mattinata avverrà l’incontro con gli studenti nel piazzale antistante l’Universidade Catòlica Portuguesa. Prevista la benedizione della prima pietra di un nuovo campus universitario “Campus Veritatis”. In seguito nella vicina Cascais Francesco saluterà i giovani di Scholas Occurentes: ascolterà le testimonianze di giovani di differenti religioni, firmerà un drappo artistico lungo tre chilometri, assisterà assieme ad altri leader religiosi alla piantumazione di un ulivo della pace.

Il rientro a Lisbona è previsto nel pomeriggio quando nel parco Edoardo VII, enorme area verde di 25 ettari, avrà luogo la cerimonia di accoglienza della Gmg. La mattina di venerdì 4 agosto nel Giardino Vasco da Gama a Belèm il Pontefice impartirà ad alcuni giovani il sacramento della Riconciliazione la mattina di venerdì 4 agosto. Subito dopo presso il Centro parrocchiale “da Serafina” l’incontro con i rappresentanti di alcuni centri di assistenza e di carità. Dopo il pranzo con dieci giovani di diverse nazionalità nella nunziatura apostolica, nel tardo pomeriggio Papa Francesco, giungerà in auto aperta al parco Edoardo VII per presiedere la Via Crucis con i giovani.

La veglia e la Messa

La giornata di sabato 5 agosto sarà caratterizzata nella mattinata dalla visita del Santo Padre al Santuario della Madonna di Fatima dove giungerà in elicottero, pronuncerà un discorso e reciterà la preghiera del Rosario con i giovani malati donando una coroncina d’oro alla Vergine. Il ritorno a Lisbona è previsto poco prima di mezzogiorno: alle 18 l’incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù presso il Colégio de S. João de Brito e alle 20.45 la veglia con i giovani nel Parco Tejo: incontro, alzarsi e partire i temi su cui verteranno i canti e le preghiere dei giovani. Alle 22.45 il Papa tornerà in nunziatura Aaostolica. Domenica in mattinata sempre al Parco Tejo la Santa Messa conclusiva della Gmg, al termine della quale dopo la consegna della croce ad alcuni giovani e l’annuncio della sede della prossima Gmg internazionale, nel pomeriggio si svolgerà l’incontro con i volontari. La cerimonia di congedo sarà poi alla base aerea di Figo Maduro e il ritorno in Vaticano con partenza alle 18.15 e arrivo a Fiumicino alle 22.15.

In viaggio con Francesco

Portogallo, Spagna ; Francia e Italia i paesi sorvolati. Al seguito di Papa Francesco ci saranno i cardinali Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita; José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione e il futuro porporato Robert Prevost, prefetto del Dicastero per i Vescovi. Come nei precedenti viaggi apostolici con il Papa in aereo ci sarà anche un dipendente vaticano, proveniente questa volta dalla Segreteria di Stato. Nessuna novità per quanto riguarda il personale sanitario, precisa ancora Bruni: “L’equipe medica sarà la solita: un medico e un infermiere come per ogni viaggio”.

Lisbona, città in cui nel 2007 è stato firmato il Trattato che ha conferito all’Unione Europea una personalità giuridica propria, conferma dunque la sua vocazione storica cosmopolita e cattolica. La città da cui provengono grandi testimoni di evangelizzazione e santità si prepara a vivere giornate di festa e dialogo sui temi della pace, della tutela del creato, della fraternità. La Gmg sarà dimostrazione che l’oceano non divide, ma unisce.

 Vatican News

 

 

COMUNICARE E' BELLO E CONVIENE

 


-         - di Laura Bellomi

 

 Sarà la fretta che ci usare Whatsapp anche quando una chiacchierata sarebbe molto meglio, sarà che le buone intenzioni sono più facili a dirsi che a farsi, sarà che… quando comunichiamo male o non comunichiamo proprio, il miss understanding è dietro l’angolo. Eppure, comunicare è la cosa più bella che ci potesse capitare, perché ci mette in relazione con l’altro, è la relazione con l’altro. E così la nostra vita e il nostro servizio sono del tutto immersi nella comunicazione. Di più, sono comunicazione!

Se ci pensate, comunichiamo in continuazione: con le parole, certamente, ma anche con il silenzio, con il corpo, con i gesti e con i rituali (quanto dicono le cerimonie!). A volte però dimentichiamo che, prima ancora di dire, comunicare è ascoltare. Volevo dirti che…ti ascolto. Solo quando ascoltiamo con le orecchie del cuore siamo in grado di comunicare, viceversa è un parlarsi addosso.

Comunicare richiede un’attenzione premurosa e il saper cogliere le parole anche dove non ci sono.

Cambiano le persone, il contesto e gli strumenti (vedi   Quarta rivoluzione ed  educazione), ma l’abc non cambia: attenzione, cura, attesa, accoglienza sono sempre e comunque i presupposti di una buona comunicazione. Ogni relazione ha poi un suo modo unico per parlarsi e tocca a noi trovare le “parole”. 

Se a volte sembra di non capire o di non essere capiti, la questione non sono quindi le chat, il web, i social o il metaverso, quanto l’essere sintonizzati su noi stessi e sugli altri. E il decidere che sì, ne vale la pena (talora anche i messaggi whatsapp/facebook possono essere autoreferenti/autocelebrativi o insulsi o ripetitivi o inopportuni!)

 È una fatica buona quella che ci fa comunicare anche quando sarebbe più comodo isolarsi stando nel proprio recinto. Comunicare è un atto di responsabilità, oltre che di umanità. Il resto si spiega con una parola: indifferenza.

Abbiamo tutti bisogno di ascolto e di essere ascoltati. Di chiamare e di sentirsi chiamati. 

Allora forse oggi è il giorno giusto per un azzardo. Prendiamo il telefono e chiamiamo quel collega, quell’amico, quel parente che non sentiamo da tempo. Così, senza messaggino di preavviso, senza appuntamento. Spiazzante? Provate e mi direte. 

Per me, un gesto che parla.

  PS: da qui potete scaricare il pdf della rivista “Proposta Educativa”

 

 

COMUNICAZIONE E MEDIA

Nel mondo postmediale l’algoritmo vela la comunicazione

 I media perdono ogni specificità: da un lato crescono velocità e precisione, dall’altro la connessione ai dispositivi sociali avviene tramite processi invisibili


Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo di Ruggero Eugeni I media dopo la comunicazione. Algoritmi e condizione postmediale che appare nell’ultimo numero della “Rivista del clero italiano”. Eugeni è professore ordinario di Semiotica dei media presso l’Università Cattolica di Milano, dove dirige l’Alta Scuola in Media, comunicazione e spettacolo. Tra i vari contributi della rivista, diretta da Giuliano Zanchi, l’intervento sul futuro degli atenei cattolici tenuto dal cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero per la Cultura e l’educazione, a un recente convegno in Cattolica.

- di Ruggero Eugeni

 Alla metà degli anni Ottanta il filosofo francese Félix Guattari osservava che i media stavano cambiando profondamente volto: fenomeni quali l’avvento delle radio libere o quello delle reti telematiche (Guattari segue il caso di Radio Alice a Bologna ed è uno dei primi iscritti al Minitel francese) segnalano la fine dei mass media e lasciano presagire un nuovo tipo di società più reticolare, pluricentrica e orizzontale. Lo studioso parla a questo proposito di una «era postmediale». La morte, avvenuta nel 1992, impedisce a Guattari di vedere lo sviluppo del Web, che diviene per un certo periodo il simbolo più evidente di un utilizzo dei media decisamente alternativo a quello tipico novecentesco.

 Non casualmente qualche anno prima, nel 1984, la Apple aveva lanciato il primo computer domestico Macintosh con un commercial raffigurante un futuro distopico alla Orwell in cui un Grande Fratello utilizza televisione, radio e cinema per guidare masse ipnotizzate, ma la cui immagine sullo schermo viene distrutta da una giovane rivoluzionaria che simboleggia l’inarrestabile avvento dei nuovi media digitali. E nel 2008 lo studioso americano Henry Jenkins potrà esaltare varie forme di collaborazione di utenti che unendosi “dal basso” grazie alla Rete si oppongono con successo al potere delle multinazionali della comunicazione: un caso per tutti, i giovanissimi fan di Harry Potter che hanno la meglio sul tentativo della Warner Bros di bloccare le produzioni amatoriali in base a una antiquata concezione della difesa del copyright. Il ruolo dirompente e rivoluzionario delle nuove tecnologie della comunicazione viene peraltro celebrato nelle primavere arabe tra il 2019 e il 2011, all’interno delle quali gli scambi via social media rivestono un ruolo fondamentale.

 Per Guattari e per vari altri studiosi, l’etichetta “postmedia” rimanda insomma al superamento dei mezzi di comunicazione di massa. Ma Guattari non è il solo a utilizzare questa etichetta. Nel 1999 la studiosa e critica d’arte Rosalind Krauss parla in un influente libretto di post-medium era. La postmedialità possiede però per l’autrice un senso molto differente: Krauss pensa al superamento dell’estetica modernista, che fonda il riconoscimen- to di artisticità di un’opera sulla esibizione dei caratteri materiali del proprio medium: per esempio un quadro astratto esibisce la natura piatta delle forme pittoriche e non cerca di simulare una profondità tridimensionale come fanno le ben più banali immagini figurative. Per Krauss l’utilizzo dei media (per esempio, del video) nel campo artistico costringe a ripensare questo principio e a superare il principio della “specificità mediale” delle arti (...). Altri studiosi, quali Lev Manovich e Peter Weibel, osserveranno di lì a poco che questa nuova fluidità di confini tra media e arte è il segnale di una seconda fluidità di confini tra gli stessi media; e che questa è a sua volta legata all’avvento del digitale con la conseguente “convergenza” di media differenti all’interno del computer come “metamedium”. Il superamento della specificità mediale modernista sarebbe insomma legato al superamento dei media analogici e all’avvento dei media digitali.

 Non è difficile osservare che tutte queste definizioni di postmedialità si muovono all’interno di quella che ho definito la terza fase di sviluppo, quella dei media elettronico-digitali: il superamento dei media cui alludono è la fine dei media otto-novecenteschi, pensati nei termini di un modello di distribuzione verticistico dei segnali legato a ragioni politiche (Guattari), e di una distinzione rigida delle differenti tecnologie coinvolte (Krauss, Manovich, Weibel). Tuttavia, come ho accennato, questa terza fase, pur introducendo trasformazioni profonde negli assetti mediali, non mette in crisi il principio di fondo dei media del passato: la logica è sempre quella di una infrastruttura di circolazione dell’informazione che consenta il dispiegarsi di progetti di comunicazione. Che si tratti di un film, di una conversazione in un social, di una installazione artistica, il flusso dei segnali è funzionale alla manifestazione e alla condivisione di differenti interiorità (oppure alla sua percepita difficoltà o impossibilità). A partire da qui, si comprende come la svolta algoritmica introduce una logica differente e quindi costringe a riformulare la definizione di postmedialità in un senso molto più radicale.

 All’interno della condizione che si è creata negli ultimi quindici anni circa, infatti, l’informazione si affranca dalla comunicazione per sviluppare processi del tutto autonomi di elaborazione automatizzata dei dati (ripulitura, confronto, estrazione, integrazione e fusione, etc.). Certo, a monte di tali processi ci sono dispositivi di rilevazione visuale e sonora simili a quelli dei media: telecamere, microfoni, etc. Tuttavia, essi ricadono ora nella più ampia categoria di sensori; e i sensori possono non essere dispositivi di ripresa tradizionali: per esempio alcuni modelli di telefonini, varie consolle di videogioco, le automobili a guida autonoma utilizzano oggi ampiamente il Lidar, un radar a raggi laser che costruisce una rappresentazione digitale tridimensionale del mondo di tipo non fotografico. E certo, a valle dei processi di elaborazione dei dati ci sono ancora delle immagini: per esempio il mio volto che appare sul mio telefonino e consente eventualmente lo sblocco del dispositivo. Ma anzitutto questa apparizione visuale non è necessaria: se la sliding door in aeroporto riconosce che l’immagine del mio volto è la stessa di quella sul mio passaporto si apre, ma senza che nessuna immagine fisica del mio volto venga manifestata; e poi, una enorme serie di processi resta non visibile e non udibile: per esempio non mi accorgo (se non perché devo dare il mio consenso per il suo utilizzo) che il telefonino ha prelevato l’impronta facciale del mio volto e l’ha trasmessa a una piattaforma social.

 Questo affrancamento dei processi di elaborazione delle informazioni dai processi di comunicazione presenta mi sembra due conseguenze fondamentali (...). In primo luogo, i media continuano a operare come entità socialmente individuabili (il cinema, la radio, la televisione, i nuovi media, etc.), ma in realtà essi fanno ormai parte di una nuova galassia molto più ampia costituita dalla produzione, estrazione, accaparramento, elaborazione, commercio etc. di dati. Questa economia non è del tutto nuova, perché ogni società ha sempre rappresentato se stessa in termini informazionali (di tipo censuario, economico, statistico, etc.). Ciò che oggi cambia e che costituisce una serie di fenomeni inediti è la quantità e quindi il livello di dettaglio dei dati, la velocità con cui essi vengono aggiornati, e l’accuratezza con la quale gli algoritmi utilizzano tali dati per produrre previsioni e ipotesi attendibili sugli andamenti futuri.

 I media insomma perdono la propria specificità e si connettono profondamente da un punto di vista tecnologico e pratico con tutti gli altri ambiti e dispositivi della vita sociale, civile e politica: oggi dobbiamo considerare dispositivi mediali i nostri elettrodomestici “intelligenti”, le automobili e gli altri veicoli a guida autonoma, le telecamere e gli altri apparecchi di sorveglianza, e così via in una lista tendenzialmente infinita. Tutti questi dispositivi seguono infatti la stessa logica: estrazione di dati dal mondo, loro elaborazione e eventualmente loro parziale visualizzazione. In secondo luogo, e di conseguenza, i media non servono più alla comunicazione. Questo non vuole dire che essi non permettano ancora di comunicare; ma il loro obiettivo ultimo è ora differente: il fatto che la elaborazione dell’informazione si sia affrancato della comunicazione ha trasferito il baricentro dei processi mediali dalla trasmissione visibile e udibile di suoni, parole e immagini alla elaborazione non direttamente percepibile dei dati.

 L’informazione non è più l’infrastruttura che permette di comunicare: esattamente all’opposto, è la comunicazione a essere divenuta l’infrastruttura che consente la estrazione di dati e quindi di elementi informazionali. I social media sono un esempio evidente di questo capovolgimento, con la costruzione di reti di relazioni il cui unico fine è la implementazione dei “doppi digitali” degli utenti. Ora, una simile prospettiva potrebbe apparire pessimistica, se non terrorizzante. Ma a ben vedere questa non è l’unica conclusione possibile. La dismissione del legame di dipendenza tra informazione e comunicazione su cui si sono basati i media libera certo le valenze della prima assegnandole un maggiore potere; ma al tempo stesso costringe anche a ripensare la seconda; a interrogarci su cosa intendiamo per “comunicazione” e quanto il modello che abbiamo fin qui seguito non richieda un ripensamento. La datificazione dei processi comunicativi ci spinge insomma a riflettere in termini nuovi su cosa sia la comunicazione, su quali sono i suoi strumenti, per quali ragioni ci sentiamo chiamati a condividere la nostra esperienza, e quali mezzi sono i più indicati per farlo.

Avvenire



venerdì 28 luglio 2023

DISINFORMAZIONE E FAKE NEWS


Disinformazione e fake news 

in Italia

Il terzo Rapporto Ital

 Communications-Censis

Il 76,5% degli italiani ritiene che le fake news siano sempre più difficili da scoprire, il 16.2% della popolazione ritiene che il riscaldamento globale non esista. 

Tutti i dati.

 

Al Senato è stato presentato il terzo Rapporto Ital Communications-Censis “Disinformazione e fake news in Italia. Il sistema dell’informazione alla prova dell’Intelligenza Artificiale”. Dalla ricerca emerge come sia cresciuta la consapevolezza degli effetti devastanti della disinformazione, che può essere arginata da professionisti della comunicazione accreditati come fonti autorevoli e garanti dell’affidabilità e della qualità delle notizie. Di fronte alle insidie che possono venire dal web e dall’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, per distinguere la buona dalla cattiva informazione servono competenze solide sulle nuove tecnologie e regolazioni più stringenti.

Cresce il bisogno di informazione, soprattutto online

Oggi circa 47 milioni di italiani, il 93,3% del totale, si informa abitualmente su almeno una delle fonti disponibili, l’83,5% sul web e il 74,1% sui media tradizionali. Sul versante opposto, sono circa 3 milioni e 300mila (il 6,7% del totale) gli individui che hanno rinunciato ad avere un’informazione puntuale su ciò che accade, mentre 700.000 italiani non si informano affatto.

Le fonti utilizzate e la rassicurante dimensione social

Il 64,3% degli italiani utilizza un mix di fonti informative, tradizionali e online, il 9,9% si affida solo ai media tradizionali e il 19,2% (circa 10 milioni di italiani in valore assoluto) alle fonti online. Social media, blog, forum, messaggistica istantanea sono espansioni del nostro io e del modo di vedere il mondo: è il fenomeno delle echo chambers, cui sono esposti tutti quelli che frequentano il web e soprattutto i più giovani, tra i quali il 69,1% utilizza la messaggistica istantanea e il 76,6% i social media per informarsi. Il 56,7% degli italiani è convinto che, di fronte al disordine informativo che caratterizza il panorama attuale dell’informazione, sia legittimo rivolgersi alle fonti informali di cui ci si fida di più.

Fake news sempre più difficili da scoprire

Aumentano paure e timori di non essere in grado di riconoscere disinformazione e fake news. Il 76,5% degli italiani ritiene che le fake news siano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte. Ma ci sono anche i negazionisti: Il 29,7% della popolazione nega l’esistenza delle bufale e pensa che non si debba parlare di fake news, ma di notizie vere che vengono deliberatamente censurate dai palinsesti ufficiali che poi le fanno passare come false.

Molta comunicazione e tanta confusione: il caso riscaldamento globale

Il riscaldamento globale è un argomento di cui si parla tanto e in modo confuso, alimentando cattiva informazione, catastrofismo e persino negazionismo. Il 34,7% degli italiani è convinto che ci sia un allarmismo eccessivo sul cambiamento climatico e il 25,5% ritiene che l’alluvione di quest’anno sia la risposta più efficace a chi sostiene che si sta progressivamente andando verso la desertificazione. I negazionisti, che sono convinti che il cambiamento climatico non esista, sono il 16,2% della popolazione. Gli individui più fragili, vale a dire i più anziani e i meno scolarizzati, sono quelli che appaiono più confusi e meno in grado di comprendere il problema nella sua complessità.

Intelligenza Artificiale, rischi e potenzialità

Come si evince dal terzo Rapporto Ital Communications-Censis, il 75,1% della popolazione ritiene che con l’upgrading tecnologico verso l’Intelligenza Artificiale sarà sempre più difficile controllare la qualità dell’informazione, mentre per il 58,9% l’AI può diventare uno strumento a supporto dei professionisti della comunicazione. Le Agenzie di comunicazione, dove lavorano oltre 9.000 professionisti, si sono adattate ai cambiamenti che la vita digitale ha imposto al mondo della comunicazione, ampliando le competenze di chi ci lavora e creando nuove figure a presidio del web. Il risultato è che nell’ultimo anno i professionisti della comunicazione sono aumentati dell’11,3%.

“Uno degli aspetti più importanti che emerge da questo Rapporto è che gli italiani si stanno rendendo conto del valore delle notizie vere e del disvalore che hanno le fake news. Prima la pandemia seguita dal conflitto russo ucraino ci hanno fatto capire quanto sia fondamentale comunicare notizie in maniera rigorosa e irreprensibile. Inoltre, dobbiamo lavorare affinché l’Intelligenza Artificiale sia di supporto al lavoro umano e giornalistico ma non diventi un sostituto”. Lo ha dichiarato Alberto Barachini, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria.

Per Maurizio Gasparri, Vice Presidente del Senato della Repubblica: “I giganti del web devono rispondere al principio democratico. Occorre far pagare le tasse anche ai colossi del web e contrastare l’anonimato in rete. Serve, pertanto, una regolamentazione più stringente per ostacolare e impedire il proliferare delle fake news online”.

Secondo Roberto Marti, Presidente della Commissione Cultura e Patrimonio Culturale, Istruzione Pubblica del Senato della Repubblica: “I dati che emergono da questa analisi sono allarmanti. Formazione e qualità sono due aspetti fondamentali per garantire una corretta informazione. Il legislatore deve normare tale materia. In tal senso, con il Rapporto di oggi state tentando di fare una buona politica comunicativa, cioè iniziare a formare delle agenzie di comunicazione efficienti”.

Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, ha commentato che “occorre essere consapevoli del fatto che la verità nella comunicazione è qualcosa che bisogna conquistare e garantire. In un mondo dominato dall’intelligenza artificiale noi stakeholders della comunicazione dobbiamo mettere in atto un sistema che, partendo dal basso, sia in grado di rinegoziare le regole per salvaguardare una corretta e trasparente informazione”.

Ivano Gabrielli, Direttore Polizia Postale, ha evidenziato che: “L’intervento che si può fare per ostacolare la diffusione di fake news e di disinformazione è quello di costituire un argine. Lo strumento penale tuttavia è limitato. Dal Rapporto emerge che gli italiani e in particolare i giovani si rifugiano nelle piattaforme di comunicazione. È fondamentale, dunque, lavorare sulla prevenzione al fine di far prevalere una corretta informazione per agevolare l’opinione pubblica”.

Giuseppe De Rita, Presidente Censis, ha sottolineato che: “Tanto opinionismo e poca informazione generano confusione e notizie false; lo hanno dimostrato il Covid prima, la guerra poi e oggi il riscaldamento climatico. Gli italiani hanno bisogno di una rete di professionisti dell’informazione di cui fidarsi, che li aiutino anche ad avere maggiore consapevolezza di come riconoscere fonti e notizie di qualità”.

Secondo Domenico Colotta, Founder Ital Communications: “Il terzo Rapporto Ital Communications-Censis offre uno spunto di riflessione sull’Intelligenza Artificiale, che rappresenta una grande opportunità per il futuro, in tutti i campi. Occorre tuttavia che, nel contrasto alle fake news, le sue potenzialità vengano sfruttate unitamente alle abilità umane, in modo da dare un efficace supporto al lavoro dei professionisti della comunicazione. Solo in questo modo si può realizzare una comunicazione affidabile, fondata su fonti verificate e che sia capace di salvaguardare la fiducia nei media e nelle istituzioni”.

Per Ruben Razzante, Docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica di Milano: “Dobbiamo evitare due errori. Da un lato il rischio di dogmatizzare la verità, dall’altro quello di delegare a un algoritmo il processo di definizione della verità stessa. La sfida è quella di coltivare il pluralismo e il confronto tra le fonti. L’informazione professionale è quella che acquisisce il dato di realtà con una metodologia simile a quella dello storico, confezionando un prodotto rispettoso della verità sostanziale dei fatti”.

Attilio Lombardi, Founder Ital Communications, ha spiegato che: “Chi fa comunicazione con professionalità e autorevolezza, in un mondo complesso e profondamente mutato come quello di oggi, non deve rinunciare alla serietà e alla veridicità delle notizie da veicolare. Il terzo Rapporto Ital Communications-Censis rileva l’importanza di una comunicazione responsabile e in grado di contrastare la disinformazione, anche attraverso lo sviluppo di valide competenze che sappiano governare i cambiamenti e tutelare i cittadini e le istituzioni dai danni sociali, economici e democratici derivanti da una comunicazione non veritiera”.

Per Roberto Zarriello, Segretario Generale Assocomunicatori: “Occorre colmare il gap sulle competenze digitali che attanaglia il nostro Paese. Bisogna investire sulla formazione dei giovani, sia in ambito scolastico che in quello accademico. Non possiamo più permetterci di avere in Italia un numero così basso di laureati nelle materie Stem e un così alto numero di Neet tra i ragazzi. Allo stesso modo, le aziende necessitano di specialisti nel campo delle Ict che non riescono a trovare. Investire sull’educazione e la formazione digitale, anche utilizzando bene i fondi del PNRR, deve essere una priorità per il sistema-Paese”.

 

Il Faro



 

DOV'E' IL TUO TESORO ?


 VANGELO -  DOMENICA 30 LUGLIO -  Mt 13,44-52

44In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.  47Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 51Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

  Commento di Enzo Bianchi

 Il vangelo di questa domenica ci presenta le ultime parabole raccolte da Matteo nel capitolo tredicesimo, detto appunto “discorso parabolico”. Come nelle precedenti parabole, Gesù non fa ricorso a idee astratte ma consegna delle immagini, affinché gli ascoltatori accolgano facilmente la parola, la conservino nel cuore e, ricordandola, la attualizzino nel loro quotidiano. Queste immagini mirano ancora una volta a far comprendere la dinamica del regno dei cieli, il modo in cui Dio può regnare ed effettivamente regna in quanti sono capaci di ritornare a lui, di convertirsi e di aderire alla buona notizia portata da Gesù Cristo.

 Un tesoro nel campo

Delle tre parabole odierne le prime due sono inseparabili, mentre la terza, a livello tematico, sembra una ripresa della parabola del buon grano e della zizzania (cf. Mt 13,24-30.36-43). Gesù dice innanzitutto: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”. C’è un tesoro nascosto, dunque a lungo ignorato e sotterrato in un campo, certamente per proteggerlo da eventuali rapine: se però è stato nascosto, è per essere ritrovato al tempo opportuno. Il contadino che lavora quel campo, arandolo, si imbatte nel tesoro. Allora lo dissotterra e, colto da grande stupore, agisce come un uomo accorto: subito nasconde nuovamente il tesoro, poi mette in vendita tutto ciò che possiede, valutato molto poco rispetto al tesoro scoperto. Con il denaro ricavato può dunque comprare quel campo, così da diventare proprietario anche di quel tesoro preziosissimo.

 La parabola è semplice, comprensibilissima, perché “l’altra cosa” significata dal tesoro è proprio il regno dei cieli, l’unica realtà che giustifica la vendita di tutto ciò che si ha per poter prendere parte ad esso, come Gesù afferma più avanti, rivolto a un giovane ricco: “Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni, seguimi!” (Mt 19,21). Allo stesso modo, qui Gesù rivela all’ascoltatore di allora, così come a noi oggi, che il regno di Dio è il tesoro che non ha prezzo e proprio per questo al fine di acquisirlo occorre spogliarsi di tutti gli averi, le ricchezze, le proprietà. Se infatti queste sono una presenza nella vita dell’essere umano e regnano su di lui, impediscono proprio a Dio di regnare (cf. Mt 6,24: “Non potete servire Dio e Mammona, l’idolo della ricchezza!”).

 D’altronde, già nel discorso della montagna Gesù aveva avvertito con chiarezza: “Non accumulate tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). Chi vuole seguire Gesù e prendere parte al Regno veniente, deve spogliarsi di tutto ciò che ha, di ciò che nella vita umana è assicurazione e garanzia. Questo lo si può fare se si comprende il mistero del regno dei cieli affidato proprio ai discepoli (cf. Mt 13,11) e se si resta consapevoli di portare questo tesoro in vasi di creta, mostrando così che esso viene da Dio e non da noi stessi (cf. 2Cor 4,7).

 Una perla preziosa

Qualcosa di analogo accade anche a un mercante, che nell’esercizio del suo mestiere un giorno scopre una perla di grandissimo valore. Da mercante qual è, si esercita anche alla ricerca di perle preziose, ma pure lui è sorpreso e stupito quando trova questa perla unica. Come fare per possederla? Vende tutti i suoi averi e la compra, perché ai suoi occhi essa ha un valore inestimabile: vale la pena vendere tutto, sacrificare tutto per questa realtà scoperta e valutata come incomparabile. Entrambe le parabole hanno come veri protagonisti gli oggetti, il tesoro e la perla, che si impadroniscono dei due uomini, li afferrano e causano le loro azioni. Nello stesso tempo, per l’appunto, entrambe mettono l’accento sulle azioni, cioè sulla risposta umana di fronte al dono incommensurabile del regno dei cieli.

La libido possidendi

Sì, siamo di fronte al radicalismo evangelico di Gesù, che ci chiede di spogliarci per accogliere il Regno. E si faccia attenzione: non si tratta di spogliarsi solo all’inizio della sequela, una volta per tutte, ma di rinnovare ogni giorno questa rinuncia, in situazioni diverse e in diverse tappe della vita. Durante il cammino della vita, infatti, anche se all’inizio ci siamo spogliati di ciò che avevamo, riceviamo ancora tante cose e ne acquistiamo altre. Quella dell’avere, la libido possidendi, è una minaccia che sempre si oppone alla signoria del regno di Dio sulla nostra vita. Per questo con molta sapienza un padre del deserto, abba Pambo, ammoniva: “Dobbiamo esercitarci a spogliarci di ciò che abbiamo fino alla morte, quando ci sarà chiesto di dire ‘amen’ allo spogliarci della nostra stessa vita”.

 Questa esigenza radicale ci fa paura, forse oggi più che mai, immersi come siamo nella società del benessere; ma se comprendiamo il dono del Regno, la gioia della buona notizia che è il Vangelo, allora diventa possibile viverla, proprio in virtù della grazia che ci attira e ci fa compiere ciò che non vorremmo e non saremmo capaci di realizzare con le sole nostre forze. Allora potremo dire, insieme all’Apostolo Paolo: “A causa di Cristo … ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui” (Fil 3,7-9). E tutto questo – non va dimenticato – può essere compiuto solo animati dalla gioia, quella di cui Gesù ci parla esplicitamente a proposito del contadino. Chi segue Gesù, dunque, non dice: “Ho lasciato”, ma: “Ho trovato un tesoro”; e non umilia nessuno, non si sente migliore degli altri, ma è semplicemente nella gioia per aver trovato il tesoro. In ultima analisi, infatti, la misura dell’essere discepolo di Gesù è l’appartenenza a lui, non il distacco dalle cose (che se mai ne è una conseguenza): una vera sequela si fa spinti dalla gioia!

 Una rete nel mare

La terza parabola narra di “una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così”, spiega Gesù, “sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. C’è un tempo per pescare e un tempo per valutare le diverse qualità di pesci finiti nella rete. Vi sono pesci buoni e pesci cattivi, come nella comunità cristiana, composta di uomini e donne “pescati” attraverso l’annuncio del Vangelo (cf. Mt 4,19) e riuniti in una comunità che non può essere soltanto di puri e giusti. Ma verrà il giorno del giudizio, e allora vi sarà il discernimento: sarà l’ora della separazione tra quelli che parteciperanno in pienezza al Regno e quelli che, avendo scelto la morte, la gusteranno…

 Questa immagine ci spaventa e non vorremmo trovarla tra le parole di Gesù: facciamo fatica a pensarla come Vangelo, come buona notizia. Ma mediante quest’ultima parabola Gesù vuole darci un avvertimento: egli non destina nessuno alla morte eterna, ma mette in guardia, perché sa che il giudizio dovrà esserci. Sarà nella misericordia ma ci sarà, come confessiamo nel Credo: “Il Signore Gesù Cristo … verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo Regno non avrà fine”. D’altronde, rifiutare il dono del Regno non può equivalere ad accoglierlo: è dono, è grazia, è amore!

 A conclusione del lungo discorso, Matteo registra un dialogo tra Gesù e i suoi discepoli:

Avete compreso tutte queste cose?

 Gli risposero: “Sì”.

 Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.

Chi comprende queste parabole di Gesù è come uno scriba che, diventato discepolo di Gesù, possiede un grande tesoro: il tesoro della sapienza (cf. Sap 8,17-18; Pr 2,1-6), tesoro inestimabile e inesauribile (cf. Sap 7,14). Se un discepolo è consapevole di questo tesoro, per dono di Dio può estrarre da esso cose nuove e cose antiche, perché riconosce in ogni parola dell’Antico e del Nuovo Testamento “Gesù Cristo, Sapienza di Dio” (1Cor 1,24). “In Cristo”, infatti, “sono nascosti tutti i tesori della sapienza di Dio” (Col 2,3). Si tratta semplicemente di ribadire questo, di esserne convinti, di non stancarsi di attingere a questo tesoro giorno dopo giorno. È infatti al tesoro di Gesù Cristo, al tesoro che è Gesù Cristo, che ci riconduce ogni nostra ricerca: più passa il tempo, più ci rendiamo conto che è sempre a lui che ritorniamo per confrontare i nostri piccoli passi nell’acquisizione della sapienza. È lui la sua parola, il suo sentire, il suo vivere in noi che potenzia ogni nostro cammino. È lui che sempre di nuovo dice al nostro cuore: “Va’ al largo (cf. Lc 5,4), non stancarti di cercare (cf. Mt 7,7), apri i tuoi orizzonti, perché io sono sempre con te (cf. Mt 28,20)!”.

 

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giovedì 27 luglio 2023

INCENDI COME PREVENIRLI E COME EDUCARE


Incendi boschivi: 
una proposta geodidattica

 

-         di Emanuele Poli

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Gli incendi boschivi afferiscono alla qualità dei rapporti che la società contemporanea è in grado di creare con l’ambiente circostante e sono causa di grave degrado e di profonda alterazione ambientale, nonché indice di compromissione degli ecosistemi naturali. Nell’analisi di tale problematica sono stati realizzati diversi GIS (Geographic information system) in differenti province italiane, tra il 1980 e il 2010. Dall’elaborazione dei dati, redatti dal Corpo Forestale dello Stato, emergono una miriade di casi, che hanno provocato la perdita di migliaia di ettari di superficie boschiva, con ingenti danni economici.

Le cause sono legate principalmente ai comportamenti umani mentre sono scarse quelle naturali (1%), nel 28% dei casi si tratta di incendi involontari o colposi e il 71% è attribuibile a cause dolose o volontarie.

Le azioni di ricostituzione e di rimboschimento non sempre sono riuscite a rimediare ai danni prodotti dagli incendi. Il clima, con il suo regime pluviometrico e la dominanza dei venti e il suo andamento stagionale, gioca un ruolo fondamentale nel predisporre le condizioni ottimali per la propagazione degli incendi volontari e involontari o per innescare quelli naturali. Per tale motivo il maggior numero di incendi annui è concentrato nei mesi più caldi e con scarse precipitazioni. Altri elementi scatenanti sono le tipologie forestali, la quantità di acqua presente nei tessuti delle piante, nonché le condizioni del sottobosco, dettate dal governo e dal trattamento dello stesso. Queste ultime fanno emergere una diversa distribuzione del numero di incendi tra le diverse aree geografiche. È pur vero che, oltre a questi fattori fisici-naturali, anche la conoscenza sulla normativa sulle zone e sulle realtà più frequentemente soggette a rischio di incendio, costituisce la base per un’attività di monitoraggio ambientale ed evidenzia le aree ove installare i punti di avvistamento o gli strumenti di controllo.

Molto, ancora, deve essere realizzato, grazie anche a una maggiore sensibilizzazione politica, sociale e amministrativa che renda gli abitanti del territorio consapevoli delle minacce provocate dal fuoco al già compromesso equilibrio tra uomo e ambiente. Un importante passo in avanti, in tal senso, è avvenuto con l’entrata in vigore della legge quadro sugli incendi boschivi n°353 del 21 novembre 2000, che ha esaltato il ruolo della conoscenza e della prevenzione (art. 4 comma 2), introducendo il reato d’incendio boschivo nel nostro Codice Penale (art. 423 bis).

Forse è anche per questo se dal 2000 al 2007 la media degli incendi in Italia è calata di un terzo rispetto a quella dei due decenni precedenti, secondo quanto riferito dalle informazioni pubblicate dal Corpo Forestale dello Stato1 .

Il caso Sardegna

Il fenomeno degli incendi in Sardegna nella gran parte dei casi non è dovuto a cause naturali (1% del totale) bensì al fattore antropico2. Nonostante ciò, il problema è stato sempre vissuto e affrontato come se si trattasse di una calamità naturale da contrastare per contenere i danni e minimizzarne i pericoli. La necessità di tutelare l’ambiente e le comunità ha messo in secondo piano la ricerca delle cause antropiche che, nel caso della Sardegna, rappresentano la base del problema. Anche laddove se ne riconosce l’origine antropica, l’idea più diffusa è che gli incendi nell’isola siano legati a un sistema agro-pastorale arretrato: una visone che, almeno in parte, andrebbe rivalutata.
Al momento l’unica certezza è che ogni anno il fuoco continua ad arrecare danni all’ambiente, a distruggere il patrimonio economico e a causare gravi lutti nelle comunità3, mentre la Regione Sardegna e lo Stato si impegnano nella sorveglianza e nella lotta al fuoco mettendo in gioco risorse finanziarie e umane. Si tratta, come prevede la legge nazionale, di attività di prevenzione che consistono nel porre in essere azioni mirate a ridurre le cause e il potenziale innesco d’incendio nonché interventi finalizzati alla mitigazione dei danni conseguenti (art. 4, comma 2, della legge n°353). Tra queste anche interventi destinati all’uomo, tesi a prevenire comportamenti scorretti, sia dolosi che colposi, quale principale causa di incendio.

La salvaguardia e la tutela dei boschi sono oggi strettamente connesse al grado di civiltà degli uomini, alla loro cultura e sensibilità, alla qualità dei rapporti che sono in grado di stabilire con l’ambiente. Al riguardo, l’opera di sensibilizzazione delle popolazioni e di informazione dei cittadini, anche con il coinvolgimento dei mass media, non sarà mai pienamente efficace se non mira a realizzare una cultura della tutela del patrimonio forestale inteso come bene imprescindibile che appartiene alla stessa collettività. É necessario, pertanto, dare opportuno impulso a tutte quelle azioni di carattere informativo e formativo che concorrono alla crescita di una cultura dell’ambiente e del bosco, promuovendo la consapevolezza che uomini e alberi appartengono al medesimo contesto naturale.

Molti incendi si verificano lungo i bordi delle strade, a partire dalle scarpate e dalle cunette spesso interessate da vegetazione facilmente infiammabile, oppure lungo le piste e i sentieri che si addentrano nei boschi. Questi fuochi possono essere prevenuti sia con azioni tendenti a rendere più consapevole e responsabile il comportamento dell’uomo (l’educazione ambientale), che con interventi di vigilanza delle amministrazioni preposte. Spesso le tensioni sociali portano ad atti vandalici o a ricatti delle istituzioni. Constatato ciò è necessario adottare misure che tendono a prevenire tensioni e motivazioni che, come conseguenza, hanno vere e proprie forme di vandalismo che sfociano in incendi dannosi. Le comunità devono impedire sul nascere gli incendi rendendo il territorio meno combustibile e isolare gli incendiari. È indispensabile cambiare la mentalità dell’intera popolazione, coinvolgendo tutte le componenti della società, dalla classe politica alla scuola, dalle Provincie ai Comuni, dalle associazioni professionali, sportive e culturali (allevatori, agricoltori, cacciatori, ambientalisti) ai volontari, in modo che agiscano, ognuno nel proprio settore di competenza, in modo attivo e convinto verso il problema. L’ambiente è il soggetto fondamentale e il nucleo dell’unico sviluppo possibile della Sardegna e tale sviluppo sarà possibile solo nel momento in cui tutte le forze insieme riusciranno a sconfiggere questo fenomeno, causato per colpa e per volontà dell’uomo.

Io sto col bosco

La proposta didattica “Io sto col bosco” è stata ideata e progettata nell’anno accademico 2010/2011 presso l’Università di Cagliari, durante l’attività frontale del corso di Geografia e Didattica della geografia, corso di laurea in Scienze della Formazione primaria. L’occasione si è presentata nel momento in cui, le province di Sassari, Olbia-Tempio, Cagliari e Nuoro e i maggiori Comuni sardi (Pozzomaggiore, Stintino, Porto Torres, Torralba, Sorso, Florinas, Cossoine, Usini, Bottidda, Trinità d’Agultu e Vignola, Santa Maria Coghinas) hanno invitato l’ateneo cagliaritano, dove il sottoscritto, in qualità di ricercatore di Geografia, è impegnato nell’attività didattica e in alcuni studi di ricerca, a partecipare alla quinta edizione di “Adotta un albero”, un progetto che coinvolge alunni della scuole secondarie di I e II grado della Sardegna. L’intento è quello di sensibilizzare le giovani generazioni alle problematiche ambientali attraverso attività di messa a dimora di nuovi alberi e la visione di filmati. Questo invito ha motivato a pensare a qualche attività da proporre ai futuri insegnanti, impegnati tutt’oggi in attività di supplenze, di tirocini o e laboratori vari.
Le discipline coinvolte sono oltre alla geografia, le scienze, l’educazione ambientale, l’educazione all’immagine, l’educazione alla salute e la convivenza civile. Attraverso questa proposta didattica i discenti hanno avuto atteggiamenti di cura verso l’ambiente sociale e naturale, apprezzandolo e valorizzandolo con maggior consapevolezza, hanno formulato ipotesi e previsioni, prospettato soluzioni, prodotto rappresentazioni grafiche, analizzato e raccontato in forma chiara ciò che hanno avuto modo di imparare precedentemente e valutato i possibili effetti delle decisioni e delle azioni dell’uomo sui sistemi territoriali. Tra gli obiettivi possibili, si può pensare all’acquisire una consapevolezza del prezioso patrimonio naturale, ambientale e flori-faunistico presente nel proprio territorio, acquisire consapevolezza della sempre maggiore responsabilità umana nei danni ambientali causati dagli incendi, conoscere le norme fondamentali di prevenzione e le principali norme di comportamento in caso di incendi, conoscere le istituzioni che si occupano della salvaguardia dell’ambiente e attivare comportamenti di prevenzione ai fini della salute nelle diverse situazioni di vita.

Note

1) I dati citati sono disponibili sul sito del Corpo forestale dello Stato, al seguente link.

2) Questo dato è confermato dalle indagini effettuate dal Corpo Forestale dello Stato a livello nazionale ed è sufficiente per differenziare la nostra realtà da altre realtà ambientali e territoriali, come ad esempio il versante Ovest degli Stati Uniti d’America, dove gli incendi dovuti ai fulmini rappresentano il 90% degli eventi totali registrati (American Forests,4, Winter 2004).

  ECO – Educazione sostenibile

 

PROGETTO SUGLI INCENDI E I CAMBIAMENTI CLIMATICI