VANGELO - DOMENICA 30 LUGLIO - Mt 13,44-52
44In quel
tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro
nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia,
vende tutti i suoi averi e compra quel campo.45Il regno dei cieli è simile
anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di
grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. 47Ancora, il regno dei cieli è simile a una
rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i
pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei
canestri e buttano via i cattivi. 49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli
angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace
ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 51Avete compreso tutte queste
cose?». Gli risposero: «Sì». 52Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba,
divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che
estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Commento
di Enzo Bianchi
Il
vangelo di questa domenica ci presenta le ultime parabole raccolte da Matteo
nel capitolo tredicesimo, detto appunto “discorso parabolico”. Come nelle
precedenti parabole, Gesù non fa ricorso a idee astratte ma consegna delle
immagini, affinché gli ascoltatori accolgano facilmente la parola, la
conservino nel cuore e, ricordandola, la attualizzino nel loro quotidiano.
Queste immagini mirano ancora una volta a far comprendere la dinamica del regno
dei cieli, il modo in cui Dio può regnare ed effettivamente regna in quanti
sono capaci di ritornare a lui, di convertirsi e di aderire alla buona notizia
portata da Gesù Cristo.
Un
tesoro nel campo
Delle
tre parabole odierne le prime due sono inseparabili, mentre la terza, a livello
tematico, sembra una ripresa della parabola del buon grano e della zizzania
(cf. Mt 13,24-30.36-43). Gesù dice innanzitutto: “Il regno dei cieli è simile a
un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di
gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”. C’è un tesoro nascosto,
dunque a lungo ignorato e sotterrato in un campo, certamente per proteggerlo da
eventuali rapine: se però è stato nascosto, è per essere ritrovato al tempo
opportuno. Il contadino che lavora quel campo, arandolo, si imbatte nel tesoro.
Allora lo dissotterra e, colto da grande stupore, agisce come un uomo accorto:
subito nasconde nuovamente il tesoro, poi mette in vendita tutto ciò che
possiede, valutato molto poco rispetto al tesoro scoperto. Con il denaro
ricavato può dunque comprare quel campo, così da diventare proprietario anche
di quel tesoro preziosissimo.
La
parabola è semplice, comprensibilissima, perché “l’altra cosa” significata dal
tesoro è proprio il regno dei cieli, l’unica realtà che giustifica la vendita
di tutto ciò che si ha per poter prendere parte ad esso, come Gesù afferma più
avanti, rivolto a un giovane ricco: “Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai
poveri e avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni, seguimi!” (Mt 19,21). Allo
stesso modo, qui Gesù rivela all’ascoltatore di allora, così come a noi oggi,
che il regno di Dio è il tesoro che non ha prezzo e proprio per questo al fine
di acquisirlo occorre spogliarsi di tutti gli averi, le ricchezze, le
proprietà. Se infatti queste sono una presenza nella vita dell’essere umano e
regnano su di lui, impediscono proprio a Dio di regnare (cf. Mt 6,24: “Non
potete servire Dio e Mammona, l’idolo della ricchezza!”).
D’altronde,
già nel discorso della montagna Gesù aveva avvertito con chiarezza: “Non
accumulate tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri
scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma
né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il
tuo tesoro, là è anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). Chi vuole seguire Gesù e
prendere parte al Regno veniente, deve spogliarsi di tutto ciò che ha, di ciò
che nella vita umana è assicurazione e garanzia. Questo lo si può fare se si
comprende il mistero del regno dei cieli affidato proprio ai discepoli (cf. Mt
13,11) e se si resta consapevoli di portare questo tesoro in vasi di creta,
mostrando così che esso viene da Dio e non da noi stessi (cf. 2Cor 4,7).
Una
perla preziosa
Qualcosa
di analogo accade anche a un mercante, che nell’esercizio del suo mestiere un
giorno scopre una perla di grandissimo valore. Da mercante qual è, si esercita
anche alla ricerca di perle preziose, ma pure lui è sorpreso e stupito quando
trova questa perla unica. Come fare per possederla? Vende tutti i suoi averi e
la compra, perché ai suoi occhi essa ha un valore inestimabile: vale la pena
vendere tutto, sacrificare tutto per questa realtà scoperta e valutata come
incomparabile. Entrambe le parabole hanno come veri protagonisti gli oggetti,
il tesoro e la perla, che si impadroniscono dei due uomini, li afferrano e
causano le loro azioni. Nello stesso tempo, per l’appunto, entrambe mettono
l’accento sulle azioni, cioè sulla risposta umana di fronte al dono
incommensurabile del regno dei cieli.
La
libido possidendi
Sì,
siamo di fronte al radicalismo evangelico di Gesù, che ci chiede di spogliarci
per accogliere il Regno. E si faccia attenzione: non si tratta di spogliarsi
solo all’inizio della sequela, una volta per tutte, ma di rinnovare ogni giorno
questa rinuncia, in situazioni diverse e in diverse tappe della vita. Durante
il cammino della vita, infatti, anche se all’inizio ci siamo spogliati di ciò
che avevamo, riceviamo ancora tante cose e ne acquistiamo altre. Quella
dell’avere, la libido possidendi, è una minaccia che sempre si oppone
alla signoria del regno di Dio sulla nostra vita. Per questo con molta sapienza
un padre del deserto, abba Pambo, ammoniva: “Dobbiamo esercitarci a spogliarci
di ciò che abbiamo fino alla morte, quando ci sarà chiesto di dire ‘amen’ allo
spogliarci della nostra stessa vita”.
Questa
esigenza radicale ci fa paura, forse oggi più che mai, immersi come siamo nella
società del benessere; ma se comprendiamo il dono del Regno, la gioia della
buona notizia che è il Vangelo, allora diventa possibile viverla, proprio in
virtù della grazia che ci attira e ci fa compiere ciò che non vorremmo e non
saremmo capaci di realizzare con le sole nostre forze. Allora potremo dire,
insieme all’Apostolo Paolo: “A causa di Cristo … ho lasciato perdere tutte
queste cose e le considero spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere
trovato in lui” (Fil 3,7-9). E tutto questo – non va dimenticato – può essere
compiuto solo animati dalla gioia, quella di cui Gesù ci parla esplicitamente a
proposito del contadino. Chi segue Gesù, dunque, non dice: “Ho lasciato”, ma:
“Ho trovato un tesoro”; e non umilia nessuno, non si sente migliore degli
altri, ma è semplicemente nella gioia per aver trovato il tesoro. In ultima
analisi, infatti, la misura dell’essere discepolo di Gesù è l’appartenenza a
lui, non il distacco dalle cose (che se mai ne è una conseguenza): una vera
sequela si fa spinti dalla gioia!
Una
rete nel mare
La
terza parabola narra di “una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere
di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono
i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così”, spiega Gesù, “sarà
alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li
getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. C’è un
tempo per pescare e un tempo per valutare le diverse qualità di pesci finiti
nella rete. Vi sono pesci buoni e pesci cattivi, come nella comunità cristiana,
composta di uomini e donne “pescati” attraverso l’annuncio del Vangelo (cf. Mt
4,19) e riuniti in una comunità che non può essere soltanto di puri e giusti.
Ma verrà il giorno del giudizio, e allora vi sarà il discernimento: sarà l’ora
della separazione tra quelli che parteciperanno in pienezza al Regno e quelli
che, avendo scelto la morte, la gusteranno…
Questa
immagine ci spaventa e non vorremmo trovarla tra le parole di Gesù: facciamo
fatica a pensarla come Vangelo, come buona notizia. Ma mediante quest’ultima
parabola Gesù vuole darci un avvertimento: egli non destina nessuno alla morte
eterna, ma mette in guardia, perché sa che il giudizio dovrà esserci. Sarà
nella misericordia ma ci sarà, come confessiamo nel Credo: “Il Signore Gesù
Cristo … verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo Regno non
avrà fine”. D’altronde, rifiutare il dono del Regno non può equivalere ad
accoglierlo: è dono, è grazia, è amore!
A
conclusione del lungo discorso, Matteo registra un dialogo tra Gesù e i suoi
discepoli:
Avete
compreso tutte queste cose?
Gli
risposero: “Sì”.
Ed
egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei
cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e
cose antiche”.
Chi
comprende queste parabole di Gesù è come uno scriba che, diventato discepolo di
Gesù, possiede un grande tesoro: il tesoro della sapienza (cf. Sap 8,17-18; Pr
2,1-6), tesoro inestimabile e inesauribile (cf. Sap 7,14). Se un discepolo è
consapevole di questo tesoro, per dono di Dio può estrarre da esso cose nuove e
cose antiche, perché riconosce in ogni parola dell’Antico e del Nuovo
Testamento “Gesù Cristo, Sapienza di Dio” (1Cor 1,24). “In Cristo”, infatti,
“sono nascosti tutti i tesori della sapienza di Dio” (Col 2,3). Si tratta
semplicemente di ribadire questo, di esserne convinti, di non stancarsi di
attingere a questo tesoro giorno dopo giorno. È infatti al tesoro di Gesù
Cristo, al tesoro che è Gesù Cristo, che ci riconduce ogni nostra ricerca: più
passa il tempo, più ci rendiamo conto che è sempre a lui che ritorniamo per
confrontare i nostri piccoli passi nell’acquisizione della sapienza. È lui la
sua parola, il suo sentire, il suo vivere in noi che potenzia ogni nostro
cammino. È lui che sempre di nuovo dice al nostro cuore: “Va’ al largo (cf. Lc
5,4), non stancarti di cercare (cf. Mt 7,7), apri i tuoi orizzonti, perché io
sono sempre con te (cf. Mt 28,20)!”.
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