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martedì 28 febbraio 2023

IL METAVERSO PER MEGLIO APPRENDERE

La scalata nel metaverso,
 realmente difficile?

Il Metaverso è sempre più al centro delle attenzioni, tanto da essere considerato uno dei grandi temi del futuro. Le sperimentazioni in corso nell'Istituto Alessandrini Mainardi di Vittuone, presieduto dalla prof.ssa Carmela Pisani, rappresentano un passo avanti verso la realizzazione di un mondo virtuale sempre più complesso e coinvolgente.

La sperimentazione in questione, in collaborazione con la Ds, prof.ssa Marina Rossi, dell'Istituto Vittorio Veneto Salvemini di Latina, con la prof.ssa Giorgi,    il prof. Giovanni Marsella e l'Istituto Pantheon, rappresentato dal Dott. Guidi, è stata coordinata dalla prof.ssa Valerio, presidente regionale dell’AIMC in Lombardia e dal prof. Scozzari.

Il progetto ha previsto la visione di un ambiente virtuale in cui gli studenti potevano interagire. Grazie all'utilizzo di tecnologie all'avanguardia, è stato possibile visitare un ambiente virtuale realistico e coinvolgente, dove gli studenti potrebbero lavorare insieme, scambiarsi idee e sperimentare nuove metodologie di studio.

La sperimentazione ha dimostrato come il Metaverso possa rappresentare un'importante risorsa per l'istruzione e la formazione, permettendo di superare le barriere geografiche e consentendo a studenti e docenti di collaborare in modo più efficace ed efficiente.

L'esperienza ha evidenziato anche come il Metaverso sia una risposta alle esigenze di una società sempre più digitale e interconnessa. Infatti, grazie alla creazione di un ambiente virtuale, è possibile sviluppare nuove competenze e abilità, preparando gli studenti ad affrontare le sfide del futuro.

La sperimentazione, vissuta con gli studenti delle classi quinte dell'Istituto Alessandrini Mainardi di Vittuone, rappresenta quindi un passo importante verso la realizzazione di un Metaverso sempre più complesso e affascinante, grazie all'uso di tecnologie all'avanguardia e alla collaborazione tra diversi istituti.

Ora sarà interessante seguire gli sviluppi futuri di questa sperimentazione per meglio comprendere come Metaverso possa essere utilizzato sempre di più come risorsa formativa.

COSA C'E' DI LA' ?


"Ormai vecchio, guardando al mio passato, mi accorgo che il cammino dell'imparare a morire è stato il cammino dell'imparare a vivere, nella convinzione che ciò che si è vissuto nell'amore resterà per sempre. Solo l'amore innesta l'eternità nella nostra vita mortale. 

Che senso può avere nel nostro tempo la domanda sull'aldilà? Nell'epoca della morte rimossa o spettacolarizzata in un flusso di immagini che la esibiscono e la dissacrano, quale significato possiamo attribuirle? Su questa terra che tanto amo, ho sempre cercato l'eternità." 

Con queste parole Enzo Bianchi, instancabile cercatore di senso, apre una meditazione poetica e non dogmatica sulla più ineludibile delle domande - su quel limite capace di dare senso alla vita di ciascuno - per approdare a una risposta centrata sull'amore, sulla sua forza come trama del mondo e delle relazioni con gli altri, e quindi come ragione di speranza anche dopo la vita terrena. 

Un libro appassionato, carico di fiducia, in cui la morte si apre alla vita.

Enzo Bianchi – COSA C’E’ DI LA’

Editore: Il Mulino

Data di Pubblicazione: novembre 2022

EAN: 9788815299864

ISBN: 8815299866

Pagine: 152

ENRICO E' TORNATO ALLA CASA DEL PADRE

E’ improvvisamente tornato alla Casa del Padre ENRICO GANDOLFI, presidente regionale dell’AIMC del Lazio. 

 Aveva trascorso il mattino in AIMC, a Roma.

Ricordiamo, con viva riconoscenza il suo generoso impegno, la sua sensibilità educativa, le sue competenze organizzative, il suo accogliente sorriso, la sua sincera amicizia.

Aveva 39 anni.

Desideriamo farne memoria con le parole pubblicate dai suoi scout:

Cari amici,

con immenso dolore dobbiamo sentirci per una comunicazione che mai avremmo immaginato di inviare, che mai avremmo voluto fare: la tragica scomparsa ieri del nostro caro Capo Gruppo Enrico, noto a tutti come “Conte” per il soprannome coniato quando era un lupetto e che lo ha sempre accompagnato nel percorso scout, e non solo.

Nel gioco di parole ha voluto sempre effettivamente essere “con te”, con tutti, dedicando la vita al servizio nello scoutismo e nella comunità sociale con il suo carattere gioioso testimoniando i valori scouts in cui ha sempre creduto.

Ognuno di noi  che ha percorso il sentiero scout con Enrico, mantiene nel cuore, ora infranto dal dolore, il suo esempio e custodirà il ricordo del suo simpatico sorriso per sempre, così come tutti i bambini, bambine, ragazzi e ragazze che ha seguito e sostenuto in tanti anni di servizio educativo.

Lo accolga in cielo il coro degli Angeli della città celeste, grazie a tutti coloro che lo hanno stimato e amato come noi.

La Comunità Capi del Gruppo AGESCI “Roma 129”.

 Siamo vicini ai suoi familiari, agli amici dell’AIMC laziale, agli scout che lo hanno avuto come fratello e come educatore. 

 Lo accompagniamo sui sentieri del Cielo con la nostra preghiera. Il Signore lo accolga tra le sue paterne braccia.

https://www.facebook.com/rm129agesci

lunedì 27 febbraio 2023

INVALSI. I RISULTATI


A quali perché 

rispondono i dati

 

 Nell'Editoriale di INVALSIopen di questo mese il Presidente Roberto Ricci ci offre alcune riflessioni sull’importanza dei risultati ottenuti con le Rilevazioni nazionali e ci spiega a quali perché rispondono i dati.

La pandemia, con il suo passaggio improvviso e dalle conseguenze tragiche, ha lasciato un segno evidente nella scuola in termini di esiti di apprendimento degli studenti. Questi esiti, come è noto, hanno subito una flessione rispetto al periodo prepandemico, acuendo fenomeni preoccupanti come la dispersione nelle sue diverse forme, gravosa non solo in termini economici ma anche in termini di disagio personale sociale. Sarebbe però semplicistico rifugiarsi dietro uno sbrigativo – per quanto sicuramente vero – “era prevedibile”.

Un contributo importante perché questa presa d’atto di una fragilità presente nella nostra scuola si trasformi in forza propulsiva, dalla quale ripartire, ci può venire proprio dai risultati delle rilevazioni nazionali.

I dati non possono certamente spiegare tutto né tantomeno offrire soluzioni,

ma analizzarli e comprenderli è condizione essenziale per contribuire a individuare le migliori strategie possibili da adottare in un determinato contesto, in rapporto anche alle altre variabili presenti che concorrono a determinarlo.

Il tempo ha dimostrato in modo molto evidente che i dati acquisiti attraverso prove standardizzate forniscono informazioni utili necessarie a più scopi: aiutare la scuola a trovare percorsi di miglioramento all’interno della propria specifica realtà; capire come intervenire al meglio nel supportare la scuola a progredire e a rinnovarsi; elaborare idee costruttive, adeguate al presente e proiettate al futuro per corrispondere alle molteplici esigenze di una popolazione scolastica estremamente eterogena.

A queste necessità si vuole andare incontro, in una maniera che negli anni è diventata sempre più mirata anche grazie al confronto con le realtà internazionali, attraverso azioni che afferiscono certamente alle competenze di base degli studenti, ma che non dimenticano il peso dei fattori socio-relazionali, quali la motivazione o la capacità collaborativa, per citare solo due tra le numerose variabili legate all’apprendimento e sulle quali la scuola può incidere anche tramite un utilizzo virtuoso e costruttivo dei dati.

Di contro, c’è da dire che leggere gli esiti attraverso categorie interpretative non corrispondenti a quanto i dati stessi rilevano rischia di alterare il reale portato dell’informazione contenuta nel dato stesso e può anzi rafforzare erronee convinzioni, perpetuando visioni dell’istruzione che prescindono dagli effettivi bisogni degli studenti e del sistema scolastico.

Il dato ha senso se lo usiamo per mettere in atto processi di miglioramento e questa consapevolezza negli anni ha fatto passi da gigante nella cultura della valutazione e in tutte le componenti del sistema scuola, interne ed esterne.

Questo non vale solo per il sistema di istruzione ma anche per la politica, le amministrazioni, la ricerca, che considerano ormai i dati un patrimonio informativo da cui partire per costruire percorsi sempre più rispondenti alle realtà cui fanno riferimento.

Un cambiamento culturale non è in genere – e possiamo dire comprensibilmente – né breve né privo di ansie e perplessità, che devono però spingerci a domandarci: quale modello di scuola vogliamo perseguire?

Se la nostra domanda è autentica allora le risposte ci sono, perché la ricerca negli anni ha fatto e detto tanto, mostrando a chiare lettere attraverso i dati – provenienti da studi e indagini nazionali e internazionali – che lavorare bene con giovani che vivono una fase fondamentale del loro percorso formativo, sul piano scolastico e personale, richiede l’adozione di modelli inclusivi e che questi per essere davvero efficaci devono fondarsi su informazioni affidabili.

Abbiamo affrontato in più occasioni questi temi sulle pagine di INVALSIopen, in modi diversi e con vari accenti, ma forse alla vigilia dell’avvio delle Prove nazionali 2023 vale la pena rifletterci ancora una volta, anche alla luce di una consapevolezza crescente su quanto i dati possono offrire al sistema Paese, al quale la scuola contribuisce formando le nuove generazioni cui è affidato il domani.

 INVALSI

 

 

 

L'UOMO, IL CAVALLO E IL CANE


 - di Paulo Coelho


Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane camminavano lungo una strada.

Mentre passavano vicino ad un albero gigantesco, un fulmine li colpì, uccidendoli all’istante.

Ma il viandante non si accorse di aver lasciato questo mondo e continuò a camminare, accompagnato dai suoi animali. A volte, i morti impiegano qualche tempo per rendersi conto della loro nuova condizione…

Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d’oro, al centro della quale s’innalzava una fontana da cui sgorgava dell’acqua cristallina.

Il viandante si rivolse all’uomo che sorvegliava l’entrata.

“Buongiorno”

“Buongiorno”, rispose il guardiano.

“Che luogo è mai questo, tanto bello?”

“È il cielo”

“Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete!”

“Puoi entrare e bere a volontà”.

Il guardiano indicò la fontana.

“Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete.

Mi dispiace molto”, disse il guardiano, “ma qui non è permesso l’entrata agli animali”.

L’uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo.

Ringraziò il guardiano e proseguì.

Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi.

All’ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato.

“Buongiorno”, disse il viandante.

L’uomo fece un cenno con il capo.

“Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete”.

“C’è una fonte fra quei massi”, disse l’uomo, indicando il luogo, e aggiunse: “Potete bere a volontà”. L’uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono.

Il viandante andò a ringraziare.

“Tornate quando volete”, rispose l’uomo.

“A proposito, come si chiama questo posto?”

“Cielo”

“Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quello là! ”

“Quello non è il cielo, è l’inferno”.

Il viandante rimase perplesso.

“Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni!”

“Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici…”


CAPIRE UN TESTO


Dalla distruzione della ragione

 alla bellezza del pensare

La capacità di comprensione dei testi è stata distrutta da una prassi didattica in cui il docente è a rimorchio delle antologie.

- di  Monica Bottai

 

Potenziare la capacità di comprensione dei testi è da tempo diventato l’obiettivo centrale di ogni docente di italiano, soprattutto alla scuola secondaria, dove imperversano test, sondaggi, statistiche, che spesso servono soltanto a dare visioni angoscianti e non sempre veritiere dei nostri ragazzi. Tuttavia, proviamo adesso ad interrogarci sul nostro modo di sostenere lo sviluppo di questa competenza essenziale per essere uomini e donne consapevoli di se stessi nel mondo.

Purtroppo, dobbiamo ammettere che l’impostazione didattica tradizionale difficilmente favorisce lo sviluppo della capacità di comprensione. Innanzitutto, le nostre antologie sono ricche di brani accompagnati da sequenze di esercizi, batterie di domande o proposte di attività non efficaci in tal senso: dal brano introduttivo, che spiega al lettore il contenuto del testo (personaggi, questione centrale, etc.); alle sottolineature nel testo stesso, che guidano meccanicamente l’attenzione dello studente; al commento successivo, che offre l’interpretazione del brano o ne spiega i temi; agli esercizi che guidano lo studente verso l’unica risposta corretta possibile; fino ai compiti di realtà che, al di là della loro stereotipia, prendono soltanto spunto dal testo in oggetto, senza guidare lo studente ad un approfondimento dei suoi significati. Quindi, tutte queste attività sono (forse) utili per capire e memorizzare, non per comprendere; sono (forse) utili per gli studenti (pochi) già abili, non per chi è in difficoltà.

La comprensione reale, profonda, significativa di un testo non è automatica né meccanica: essa nasce da azioni reali, personali, autonome di chi legge, in relazione a qualcuno che prepara l’innesco di specifiche dinamiche cognitive ed emotive. Infatti, nella comprensione, sono attivati numerosi processi del pensiero (cfr. una ricerca condotta dal Project Zero della Harward Graduate School of Education, in AAVV, Making Thinking Visible, New York 2011), che necessitano di allenamento con una serie di vere e proprie routine (insegnabili, applicabili, ripetibili, sequenziali e progressive) da proporre con costanza, per introdurre gli studenti alla bellezza della complessità del pensare e al ruolo di protagonisti che loro assumono in questo percorso.

Per chi applica il Reading Workshop (cfr in particolare, Atwell N., In the Middle: a lifetime of learning about writing, reading and adolescents, Portsmouth 2015; Poletti Riz J. e Pognante S., Educare alla lettura con il WRW, Erickson 2022; Serafini F., The reading Workshop: creating space for readers, Portsmouth 2001; Serravallo J., The reading strategies book, Portsmouth 2015) queste routines guidano l’educazione alla lettura intesa come processo di una vita di classe che si fa laboratorio (una vera reading zone), in cui tre sono i momenti essenziali: la lettura ad alta voce del docente, la lettura autonoma dello studente, le strategie di lettura attiva, che danno corpo alle routines di pensiero. Tutto questo è centrato sull’esempio (modeling) del docente, che per primo vive l’esperienza che propone, in particolare attraverso due aspetti: porre domande e fare connessioni.

Niente è più interessante e provocatorio di un docente personalmente coinvolto nella lettura, tanto da connettere il testo alla propria esperienza e porsi domande davanti ai propri alunni, invitando ad un dialogo sincero. Spesso facciamo domande che spaventano o che sono ovvie o che contengono già indicazione della risposta: fare le domande giuste al momento giusto è un’arte da imparare (cfr. Chambers A., Il lettore infinito. Educare alla lettura fra ragioni ed emozioni, Equilibi 2015; Id., Siamo quello che leggiamo, Equilibi 2011); servono domande autentiche, aperte a diverse possibilità di risposta, generatrici di altre domande. Per questo la lettura a voce alta del docente è il cuore del laboratorio: in quel momento i ragazzi imparano “come si fa”, vedendo come chi legge muove il proprio pensiero e il proprio cuore dentro al testo (thinking talking, thinking aloud); le scelte dei personaggi, i conflitti, i temi, i simboli, le connessioni col mondo, tutto avviene davanti ai ragazzi in modo vivo, non dentro i commenti dell’antologia, tramite le note, i pensieri, le reazioni del docente, quasi per immersione. Leggere diventa dunque avvenimento, guardando chi legge.

Capiamo bene quindi che parlare di routine e strategie e organizzatori grafici (altra parola tipica del Wrw, Writing and Reading Workshop) non indicano procedure meccaniche che sostituiscono gli altrettanto meccanici esercizi dei nostri libri in adozione; sono invece qualcosa che permette allo studente di imitare il prof, sperimentandosi con il proprio testo (scelto, non imposto); sono il supporto con cui lo studente impara a sciogliere i nodi del proprio pensiero e a dare forma al proprio giudizio personale sul testo.

In tal modo, l’interpretazione del testo diventa cruciale (non il cappello finale a precedenti analisi esteriori formali), perché il dialogo fra studente e testo è reale e vivo. Come fare perché essa non sia fuorviante o non generi fraintendimenti? Non esiste una soggettività assoluta davanti al testo e il “come lo sai?” diviene domanda ineludibile per i giovani lettori, che vivono il confronto con l’alterità, cioè l’autore stesso del testo.

Ancora una volta, una domanda rilancia ed amplia l’orizzonte delle infinite possibilità ed il docente per primo dovrà avere il coraggio di navigare tenendo la rotta, ma anche disponibile a seguire percorsi imprevisti. E ancora una volta siamo noi prof a doverci interrogare…

 Il Sussidario

MIO FIGLIO E' UN CASINO !


 Ogni figlio come ogni studente 

è un mare aperto.

Chi l’avrebbe immaginato? Sembrava tranquillo. Con il suo caratterino, certo, e qualche giornata storta, ma eravate convinti di sapere come gestirlo e farlo crescere. Poi, vi siete trovati, voi con lui, nel mezzo di una tempesta, fatta di conflitti, tra onde anomale di irrazionalità e incertezza, in balia di ribellioni, provocazioni e umori bui, che lasciano disorientati. Come recitava un vecchio adagio, non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.

Per questo, unendo le più recenti ricerche sulle neuroscienze sociali alla sua lunga esperienza sul campo, l’autore illustra un metodo in quattro tappe, utile per insegnare a bambini e ragazzi l’arte di navigare con empatia e forza attraverso le emozioni più difficili. Con la sua guida leggeremo cosa si nasconde dietro i loro comportamenti impossibili, ma anche dentro di noi e dietro le nostre stesse azioni. Impareremo a costruire con figli e studenti una relazione basata su amore, incoraggiamento, riparo e vera accettazione e, adottando la comunicazione empatica, daremo nuovo calore e nuovi colori al percorso educativo.

Affiancandoli nelle loro tempeste trasformeremo la rabbia in gentilezza, la paura in saggezza, la tristezza in sensibilità, le cadute in occasioni per apprendere la resilienza. Non ci troveremo impreparati nel soccorrerli neppure nelle situazioni più complicate e delicate, causate da un lutto, dall’abbandono o dai timori generati da guerre e disastri naturali. Sapremo educarli alle regole, alla gestione dei conflitti, ma anche alla solidarietà, al bello e alla cura del pianeta, perché un vero porto sicuro sa accogliere le emozioni-tempesta, ma al contempo mostra ai giovani velieri come lasciare un piccolo segno di bellezza ed empatia nel mondo.

Da educatore di strada nelle periferie urbane lombarde, la voce di uno dei più noti e autorevoli psicopedagogisti italiani, per far ritrovare la rotta verso la resilienza a genitori, insegnanti, educatori e, naturalmente, ai nostri ragazzi.

Struttura del testo:

-Come reagire di fronte ai comportamenti problematici di bambini e preadolescenti?

-Come diventare il loro “porto sicuro” educandoli alle emozioni?

-Come ricucire l’alleanza tra insegnanti e genitori per prenderci meglio cura di loro?

Il testo è corredato dai disegni dell’artista Tirivì che aiutano il lettore a comprendere e fissare i concetti proposti.

 Stefano Rossi, MIO FIGLIO è UN CASINO, ed. Feltrinelli, 2022, €  16 , pagg. 224

domenica 26 febbraio 2023

LA CIVETTA FERITA

 ~Puoi aiutarmi? chiese una vecchia civetta ferita a una talpa. "Sono caduta da quel ramo, non riesco più a volare...Ho cacciato tutta la notte, sono esausta, e morirò di fame se non mi aiuti, la mia cena è rimasta lassù".

"Mi spiace, sono cieca, non vedo, non posso aiutarti..." rispose la talpa continuando per la sua strada.

Passò quindi un gatto e anche a lui la civetta chiese aiuto.

Il gatto acconsentì alla richiesta, salì con qualche difficoltà sul robusto ramo ma appena vide la piccola preda si leccò i baffi e cercò di mangiarla. Fu cacciato da un'altra civetta che si piazzò proprio su quello stesso ramo.

"Via, vai via stupido gatto! Ho sentito che hai bisogno di aiuto" disse rivolgendosi alla civetta a terra. "Ti aiuterò io piccola amica, non temere". Così dicendo afferrò quindi la cena della civetta ferita e la portò al suo cospetto.

"Be, non mi ringrazi dell'aiuto?".

Ti ringrazio, ti sono grata, davvero, ma non ti ringrazierò per l'aiuto bensì perché hai fatto qualcosa per me.

"E aiutare non vuol dire proprio questo? Fare qualcosa per l'altro?".

~Aiutare vuol dire fare qualcosa per l'altro con l'altro. Il più delle volte si pensa che aiutare significhi fare al posto di, sostituirsi, agire per conto di qualcun altro. Non posso volare, quindi tu voli per me. E questa è una cosa bellissima, certo.

Ma aiutare davvero vuol dire far volare sulle tue ali chi non può volare sulle proprie, non significa lasciare a terra ma essere accanto, accompagnare. La vita ti insegnerà che davanti alle difficoltà ci sarà sempre chi sarà talpa e tirerà dritto per la paura di non saper aiutare, chi sarà gatto e cercherà di approfittare delle tue debolezze, chi sarà come te e proverà a fare qualcosa e chi quando non sarai in grado di volare ti porterà sopra ogni tuo ramo.

  Sabrina Ferri

NEL DESERTO

- Dal Vangelo secondo Matteo  
Mt 4, 1-11 

 -In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"».  Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto infatti: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

 Commento di don Luigi M. Epicopo

La Quaresima è un tempo prezioso perché è il tempo in cui lo Spirito ci porta ad un appuntamento che cerchiamo di sfuggire tutto l’anno.

È come quando per mesi abbiamo aperto un cassetto nella nostra stanza e abbiamo accumulato roba su roba in attesa di avere il tempo di metterla davvero a posto o di riflettere cosa farci. Nessuno vuole aprire quel cassetto per farci i conti.

Il deserto è questo. È il tempo di quel cassetto. È quel fastidioso tempo in cui facciamo i conti con ciò con cui non vorremmo fare i conti. E il compagno di eccezione di questa operazione è Satana. Perché proprio lui? Perché la tentazione ci ricorda che siamo liberi. Solo se capiamo che siamo liberi possiamo capire quanta profondità c’è davvero nella nostra vita e nelle nostre scelte.

Non dobbiamo trovare modi per non essere tentati, ma dobbiamo domandare allo Spirito di aiutarci a fare delle scelte davanti alle tentazioni. Questo allenamento alla libertà ci prepara davvero alla Pasqua, perché nessuno dà le chiavi di una macchina a chi non sa portarla. Così la Resurrezione è uno spreco per chi vive schiavo di qualcosa.

“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” ci ricorda San Paolo. Chi si lascia plasmare dalla lotta della Quaresima si accorgerà di non avere più paura delle “bestie selvatiche” che lo abitano, e anche gli angeli così misteriosamente invisibili diventeranno così straordinariamente utili.

Esattamente come la fede che non la si vede ma la si sente negli effetti.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫 𝐝𝐢𝐠𝐢𝐮𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐫𝐚𝐧𝐭𝐚 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐢 𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐫𝐚𝐧𝐭𝐚 𝐧𝐨𝐭𝐭𝐢, 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞 𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐟𝐚𝐦𝐞. 𝐈𝐥 𝐭𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐢 𝐚𝐯𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐨̀ 𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐝𝐢𝐬𝐬𝐞…”

Il male è lì dove si manifesta la nostra fame. Esso è una voce che vuole suggerirci un modo sbagliato di corrispondere a questa fame. Solitamente si presenta come la soluzione più facile e più immediata e proprio per questo è difficile da non assecondare perché a noi non piace fare fatica e resistere, ci viene più spontaneo assecondare e lasciarci trasportare dalle circostanze. Gesù ci mostra che non tutto sfama e che non è una tragedia a volte provare il bisogno di qualcosa (prima tentazione), a patto però che questa esperienza di debolezza non ci convinca a mettere alla prova Dio con la pretesa di dimostrarci che ci ami veramente (seconda tentazione), o peggio ancora che susciti in noi un delirio di onnipotenza in cui vogliamo tenere il controllo sul mondo intero sostituendoci così a Dio stesso (terza tentazione). Il male ci ricorda che siamo fragili, ma la fragilità non è una cosa brutta è solo la carta di identità del nostro essere umani. Se accettiamo questa fragilità senza cercare vie di fuga allora il male non può nulla contro di noi. Gesù vince il male perché oppone alle sue seduzioni l’umile accettazione della sua debolezza completamente consegnata nelle mani di Dio.

Cerco il tuo volto

APPARIRE PER ESSERE o ESSERE PER APPARIRE ?

Apparire sui social network sembra essere un desiderio spinto da un bisogno associato all'approvazione sociale, al voler essere accettati e spalleggiati dagli altri.

L'affanno di apparire sui social network

Oggigiorno l’affanno di apparire sui social è molto forte: siamo davvero così felici come dimostriamo sui nostri profili? La domanda nasce dal concetto di “felicità”, forse fittizia, mostrata di continuo.

Navigando su qualunque social network, è facile imbattersi nei post di conoscenti che viaggiano per il mondo mentre sfoggiano sorrisi smaglianti o magari nelle foto di quell’amico, che non sentiamo da tempo, ritratto con la sua fidanzata, tremendamente felici e innamorati come in un film.

Bisogna dire che secondo lo Studio Annuale sui Social Network elaborato dalla IAB Italiana, trascorriamo circa 37 ore a settimana connessi a Internet, ovvero circa il 22% del nostro tempo libero.

Per questo motivo, secondo questo studio, la nostra vita sociale è perlopiù vincolata alle piattaforme social offerte da internet. Non deve sorprendere dunque l’utilizzo che facciamo di questo strumento per lanciare messaggi alle persone che fanno parte della nostra cerchia.

Per riassumere, siamo strettamente connessi a Internet e ai social network; essi fanno parte della nostra quotidianità. Così come fanno parte della nostra routine quotidiana concetti come “postare” o “farsi un selfie”. Da qui sorge la domanda: quale parte della realtà mostriamo attraverso i social? In cosa consistono i concetti sopra nominati? A seguire affronteremo questi punti.

Abbiamo un chiaro bisogno di far sapere al mondo quanto siamo felici, anche se poi non è davvero così.

Postare sui social network: bisogno di approvazione sociale?

Proviamo un bisogno genuino di piacere agli altri, rappresentato dal desiderio di approvazione sociale e di apparire sui social network, così come affermato in un studio dell’Università del Messico sula disabilità sociale. Questa ricerca ci dice che più che una distorsione, questa impellenza non è altro che un bisogno di approvazione sociale.

L’affanno di apparire sui social network sembra quindi essere stimolato da un correlato bisogno di approvazione sociale, dal sentirsi accettati e spalleggiati dagli altri. Per esempio, la sensazione di benessere che proviamo quando carichiamo un selfie che riceve molti Mi piace o commenti lusinghieri (perché a chi non piacciano i complimenti?).

L’affanno di apparire: postare per essere

Ma cosa significa postare? Postare è un’espressione raccolta dall’Accademia della Crusca e che fa riferimento All’abitudine di adottare determinati costumi o attività allo scopo di voler apparire o fare una buona impressione sugli altri, soprattutto sui social.

 Lo psicologo José Elías, presidente dell’Associazione Spagnola di Ipnosi, definisce il concetto di postare come “l’adozione di determinati abitudini, gesti e comportamenti che hanno lo scopo di proiettare un’immagine positiva (ovvero una che riceva feedback positivi), allo scopo di dimostrare agli altri che siamo felici, sebbene non sia davvero così o non ne siamo davvero convinti”.

In altre parole, secondo lo psicologo spagnolo, un post è il bisogno di sentirsi accettati socialmente, mostrando un’immagine di noi che non rispecchia la realtà.

Viviamo in un bisogno costante di approvazione sociale, da qui nasce il “postare” così conosciuto sui social.

L’effetto “felicità contagiosa” e l’affanno di apparire

Secondo uno studio dell’Università della California, lo stato d’animo delle persone si modifica ed è condizionato dai post che vedono sui social network. Allo stesso modo, afferma che “il contenuto pubblicato ha lo scopo di dare un’immagine di felicità contagiosa”. Secondo lo studio, percepire l’allegria e il benessere altrui ci spinge a voler raggiungere il medesimo stato. Ovvero, ci stimola a pubblicare contenuti simili, producendo l’effetto di “felicità contagiosa”.

In questo senso, mostrare in rete che siamo felici è contagioso, favorisce quell’affanno di apparire sui social network, ovvero quella continua ondata di messaggi e di foto “felici”.

Quello che pubblichiamo fa parte della realtà?

Yolanda Pérez, dottoressa in psicologia, assicura che “c’è di tutto. Gente che mostra la verità, persone che mostrano qualcosa di irreale e poi ci sono persino quelle che dimostrano la verità a metà, e questo è il gruppo più numeroso”. Allo stesso tempo, l’autrice aggiunge che “mostriamo quanto siamo belli, simpatici e sorridenti in un istante, ma quelle foto che di per sé sono reali, non mostrano la nostra realtà, solo parte di essa, perché la giornata ha 24 ore ed è impossibile sorridere così a lungo”.

La verità che proiettiamo sui social non è di certo completa, visto che è impossibile sentirci felici per tutto il tempo; la vita è piena di emozioni positive e negative e ignorare le seconde per principio ci farà solo del male.

Per riassumere, è chiaro che non tutto quel che vediamo sui social è un riflesso della realtà. L’apparenza sulle piattaforme sociali, così come abbiamo spiegato, è relativa. Non cadiamo nell’errore di pensare che esistono persone che vivono 24 ore al giorno in uno stato di massimo benessere. Tutti noi abbiamo dei momenti di tristezza, di angoscia e in cui abbiamo l’umore a terra.

Avere delle brutte giornate fa parte della vita e ci fa apprezzare maggiormente i momenti positivi. In conclusione, nessuno ha una vita del tutto perfetta.

 ATTUALITÀ E PSICOLOGIA

 

sabato 25 febbraio 2023

IL MINISTRO, LA PRESIDE, LA POLITICA

  
- di Giuseppe Savagnone*

 Le critiche del ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Valditara alla preside Savino, per la lettera inviata ai suoi studenti dopo l’aggressione subìta da quelli del liceo Michelangiolo, hanno suscitato un’ondata di reazioni da pare di esponenti dei partiti. Qui vorremmo provare a rivisitare tutta la vicenda da un punto di vista che è certamente politico, ma privilegia l’aspetto educativo.

 I fatti

Cominciamo dai fatti che stanno all’origine della polemica. Sabato 18 febbraio, davanti al liceo Michelangiolo di Firenze, due studenti del Collettivo sono stati aggrediti e picchiati da sei membri di Azione studentesca, una organizzazione giovanile di estrema destra, esterni alla scuola.

Questa, almeno, la versione più diffusa. Anche se è giusto far presente che, secondo il parlamentare Federico Mollicone di FdI, presidente della Commissione Cultura della Camera, «se si vede il video integrale si nota che è stato un fronteggiamento fra due gruppi».

In verità, anche le testimonianze portate da giornali di destra per sostenere questa tesi non attribuiscono agli studenti del collettivo se non degli spintoni, mentre da parte degli altri ce ne sono state innegabilmente di molto più gravi. L’interpretazione che parla di “aggressione” sembra dunque la più corretta.

Due sono state le risposte all’accaduto. Una è stata la manifestazione a campo di Marte, in cui tremila persone – molti studenti e insegnanti – hanno sfilato con striscioni contro il fascismo e contro il governo Meloni.

La lettera della preside

L’altra è stata la circolare della dirigente scolastica del liceo Leonardo Da Vinci, Annalisa Savino. Rivolgendosi ai suoi studenti, la preside, prendendo atto delle reazioni e delle «omesse reazioni», ricordava loro due cose. La prima è che «il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. “Odio gli indifferenti” – diceva un grande italiano, Antonio Gramsci».

La seconda cosa che la Savino si proponeva di ricordare è che «è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza.

 Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così».

La presa di posizione del ministro

Il ministro Valditara – il quale fino a quel momento non aveva ritenuto opportuno intervenire sugli atti di violenza (da dove forse il riferimento della preside alle «omesse reazioni») – lo ha fatto invece sulla circolare della preside, nel corso del programma Mattino 5.

«È una lettera del tutto impropria», ha detto, «mi è dispiaciuto leggerla. Non compete a una preside, nelle sue funzioni, lanciare messaggi di questo tipo. E poi il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà dei fatti. In Italia non c’è pericolo fascista, né una deriva violenta e autoritaria. Difendere le frontiere e ricordare l’identità di un popolo non ha nulla a che vedere con il fascismo, o peggio con il nazismo. Quindi inviterei la preside a riflettere più attentamente sulla storia e sul presente».

«Queste iniziative» ha poi aggiunto il ministro –  «sono strumentali ed esprimono una politicizzazione che auspico non abbia più posto nelle scuole».

Riguardo poi alle minacce di morte rivoltegli durante il corteo di Campo di Marte, ha risposto: «Trovo ci sia sempre più un attacco alla libertà di opinione e un alzare i toni trasformando la polemica in una campagna di odio, delegittimazione e falsificazione talvolta della realtà. Chiedo ai partiti dell’opposizione maggiore responsabilità. E intanto mi aspetto solidarietà anche dalla preside che ha scritto la missiva».

La minaccia dell’indifferenza

Più che il fatto in sé del pestaggio, qui ci interessa il confronto che esso ha suscitato. E, in primo luogo, la riflessione a cui la preside Savino ha invitato i suoi studenti, mettendoli in guardia contro una “cultura dell’indifferenza” che può diffondersi, specialmente tra i giovani, «nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto».

In un paese dove alle ultime elezioni nazionali l’astensionismo è salito al 36,1% – 9 punti in più rispetto al 2018 -, e a quelle svoltesi in due regioni rappresentative come il Lazio e la Lombardia ha addirittura raggiunto il 60% – oltre 30 punti in meno di quelle precedenti – , il monito della Savino contro l’indifferenza dei singoli nei confronti di ciò che accade intorno a loro appare più che appropriato.

Davvero è l’indifferenza la grande minaccia che incombe sulla nostra democrazia. Ed è storicamente vero che «in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune»

Come è appropriato il riferimento alla sfiducia dei giovani nel futuro, in un contesto in cui la crisi delle ideologie che ne promettevano uno radioso ha dato luogo al venir meno di ogni vera progettualità volta a ripensare la nostra società in termini che non siano quelli angusti dell’andamento del Pil.

 Che poi questo coincida con l’avvento al potere di partiti che fondano la loro capacità di attrazione sulla «difesa delle frontiere», sulla difesa dell’identità nazionale e sulla diffidenza verso chi è diverso, non sembra davvero una coincidenza e comunque è una tesi plausibile. 

Il ministro Valditara ha il pieno diritto di pensare che «in Italia non c’è pericolo fascista, né una deriva violenta e autoritaria» e che «difendere le frontiere e ricordare l’identità di un popolo non ha nulla a che vedere con il fascismo, o peggio con il nazismo». Ma anche lui forse dovrebbe «riflettere più attentamente sulla storia e sul presente» e non ritenere ovvia la sua prospettiva.

A scuola si deve parlare di politica?

Tutto questo riguarda il merito del dibattito che, come tutti veri dibattiti, non può che restare aperto. Vi è però un risvolto importante da non perdere di vista, ed è che esso si svolge nel contesto del nostro sistema di istruzione e pone perciò in questione il rapporto tra scuola e politica.

È la principale accusa che il ministro rivolge alla Savino: «Non compete a una preside, nelle sue funzioni, lanciare messaggi di questo tipo». Il motivo, ai suoi occhi, è che «queste iniziative sono strumentali ed esprimono una politicizzazione che auspico non abbia più posto nelle scuole».

Questo è il punto: nella scuola non ci deve essere spazio per la politica. Ma è davvero così? Certo, se per politica si intende la squallida propaganda partitica a cui da troppo tempo siamo abituati, una istituzione che mira alla crescita culturale delle nuove generazioni non può prenderla in considerazione che per denunziarne l’inconsistenza. Ma già questo compito critico ha una valenza politica.

E ad esso la scuola deve educare dei cittadini e futuri elettori. Come deve aprire loro le prospettive e le regole di una “vera” politica, che cerchi, come è nella sua natura, non la difesa di interessi particolari, ma il bene comune. Non è questo che dovrebbe fare l’Educazione civica, da poco introdotta come materia obbligatoria nelle scuole?

La falsa alternativa delle occupazioni studentesche

Proprio il distacco della cultura scolastica dalla politica, con la conseguente incapacità di valorizzarla nel contesto di una formazione globale della personalità, è una delle cause della disaffezione dei giovani nei confronti di essa.

Né si può considerare un’alternativa a questa incapacità la pratica – risalente agli anni ruggenti del Sessantotto, ma poi sempre più scaduta nelle sue motivazioni e nei suoi contenuti – delle “occupazioni” e delle “autogestioni” studentesche, ridotte ormai, nella stragrande maggioranza dei casi, ad essere pretesto per una pausa dalle lezioni curricolari.

E del resto, anche là dove l’intento di “parlare di politica” è in esse sinceramente perseguito, è chiaro il loro limite di essere solo delle parentesi, dopo le quali riprende inesorabile il ritmo di un impegno scolastico che ignora l’apertura costante ai temi della politica. Benvenuta, dunque, una lettera autenticamente “politica”, come quella della preside Savino. Che si spera possa essere seguita da una riflessione non occasionale dentro le aule, proprio nei quadri di una seria Educazione civica.

Non con gli insulti e le minacce

Dove il ministro ha ragione è nella denunzia di reazioni scomposte, che invece di contribuire al recupero della dimensione politica ne sono la negazione. Non è certo con gli insulti e con le minacce che si cresce e si fa crescere nella lotta per la verità e la giustizia.

Questo era proprio ciò che facevano i fascisti. Così la democrazia muore, stritolata tra il pericolo dell’autoritarismo da parte di istituzioni sempre meno rappresentative (in Lazio e Lombardia i vincitori rappresentano in realtà due cittadini su dieci!) e quello di una protesta che le contesta con cieca violenza. Abbiamo già visto questi scenari al tempo delle Brigate rosse e non abbiamo alcun interesse, come cittadini, a riprodurli. Anche da essi la scuola oggi deve mettere in guardia.

 * Responsabile del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo, scrittore ed Editorialista.

 

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