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venerdì 31 dicembre 2021

GLI AUGURI DI DIO

Come Maria, in quest’anno, siamo chiamati a meditare la nostra storia, scovare la presenza di Dio negli eventi che segneranno (nella gioia o nella fatica) il tempo che ci sarà donato. E’ la quotidianità, il luogo in cui possiamo fare esperienza di Dio.

-         di Paolo Di Martino

-          Oggi la chiesa celebra Maria Madre di Dio. Perché proprio questa festa all’inizio dell’anno? Perché dare alla luce un figlio è qualcosa di nuovo, una novità che travolge la vita, che ti fa rinascere.

Tutto nel vangelo è novità. Il nuovo ci spaventa ma solo perché ancora non lo conosciamo.
Il nuovo è così: ci costringe a rimetterci in gioco e la cosa non ci piace tanto!
Il nuovo ci costringe a ridefinire gli equilibri preesistenti e a trovarne degli altri.
Sono questi i sentimenti che ci avvolgono all’inizio di un nuovo anno.
Il primo giorno dell’anno si apre con una grande novità, con una buona notizia.
Quelli che la religione considera i più lontani da Dio, per il vangelo, sono i più vicini a Dio!
Questa è la buona notizia che Luca ci riporta nel brano della visita dei pastori.

Perché i protagonisti di oggi sono i pastori. Solo così si riescono a comprendere le parole che Maria dirà.
Scrive Luca che “andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”.

I Pastori fanno qualcosa che noi forse abbiamo abbandonato da tempo. Si mettono a cercare Gesù! E Lo trovano alla fine di questa ricerca.

Il cristianesimo è una continua ricerca, anzi impone la ricerca come mezzo per “trovare”. Ma trovare cosa? Un Senso alla vita, perché in fondo questo è Gesù, il Senso che stiamo cercando.
Che cosa era stato detto loro? Cos’era questa grande novità? L’angelo gli aveva annunziato una grande gioia: per loro era nato il Messia, per loro.

I pastori, lo sappiamo, non erano i personaggi romantici che oggi riempiono i nostri presepi ma erano considerati disgraziati, lontani da Dio perché vivevano in uno stato continuo di impurità, di furti. Erano selvatici come le bestie che accudivano. Il Messia, alla sua venuta, avrebbe dovuto eliminare innanzitutto i pastori in quanto peccatori.

Ebbene i pastori vengono avvolti dalla luce del Signore. Loro annunciano questo: per essi è nato un salvatore, colui che li viene a salvare.

C’è qualcosa di nuovo, qualcosa di inaudito in quello che viene detto.

E’ lo scandalo della misericordia che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca.

L’amore, amici, è un regalo dato a tutti non un premio per i buoni.

Nessuno è escluso dall’amore di Dio! Nessuno!

“Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori”. Anche Maria è stupita. E’ sconcertata di fronte a questa novità, ma lei non la rifiuta. Cerca di capire il vero senso: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”, letteralmente “esaminando, interpretando, cercando il vero senso”.

Maria intuisce che dietro quell’annuncio dei pastori c’è tutta la novità di quel figlio che ha tra le braccia. Non ha tutto chiaro, ma attende, fa in modo che questa novità si sedimenti nel cuore.
Maria, nel primo giorno dell’anno, ci ricorda che Dio non è “immediato”. Dio è “mediato”. Dio ha bisogno che noi guardiamo dentro le cose per trovarlo, non in superficie.

In questo nuovo anno, amici, recuperiamo una dimensione spirituale che non significa mandare a memoria altre preghiere ma imparare a guardare dentro le cose, attraverso la vita spirituale, il silenzio, l’ascolto, la profondità.

Il Signore non ci vuole bigotti ma capaci di trovarlo dentro ciò che viviamo e come ogni attività che si rispetti, anche la vita spirituale ha bisogno di esercizio e di allenamento.

Oggi è giorno di auguri, ma gli auguri più belli per questo nuovo anno, ovviamente, ce li fa Dio!
“Il Signore parlò a Mosè, ad Aronne, ai suoi figli e disse: Voi benedirete i vostri fratelli”.
All’inizio di quest’anno, per prima cosa dice Dio, beneditevi a vicenda, benedite tutti, che lo meritino o no perché io vi benedico tutti che ve lo meritiate oppure no.

Dio ci raggiunge non proclamando dogmi o impartendo divieti, ma benedicendo e chiede anche a noi di benedire uomini e storie.

L’augurio e il nostro compito per il 2022? Benedire chi ci sta accanto! Nostra moglie, nostro marito, i nostri figli, i nostri amici, le persone che ci sono affidate.

Se non impariamo a benedire, l’uomo non potrà mai essere felice.

E come si fa a benedire? “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.

Che bello! Ci sono forse auguri migliori? Che nel nostro volto risplenda il volto sorridente di Dio! Ecco cosa ci auguriamo e cosa dobbiamo augurare a tutti!

Cosa ci riserverà l’anno che viene? Non lo so, ma di una cosa sono certo: Il Signore ci farà grazia, si rivolgerà verso di noi, si chinerà su di noi.

Qualunque cosa accadrà quest’anno, Dio sarà chino su di noi e ci farà grazia.

È un invito a noi, che siamo sempre di corsa, a dedicare del tempo alla nostra interiorità, a fermarci ogni tanto nel nuovo anno per scrutare i passi di Dio.

Forse ci accorgeremo che Dio sorride con noi, piange con noi, fa festa con noi, soffre con noi. Perché Dio non è un qualcosa di aggiunto, è dentro la storia: dentro la tua gioia, dentro la tua stanchezza, dentro la tua repulsione o dentro la tua simpatia, dentro la tua convivenza o dentro la tua connivenza.

Non aspettiamoci che Dio ci risolva i problemi perché la vita e la natura segue una sua logica ma se, lo vorremo, li affronteremo con Lui. Quando non si è soli tutto è possibile. Questo è il vero miracolo, la vera onnipotenza che Dio ci mette a disposizione.

Cari amici, è appena terminato un anno difficile, per tutti segnato dalla sofferenza, dalla solitudine per molti anche dalla morte.

Incontri, scelte, avvenimenti, hanno segnato l’anno che si è appena concluso.
La Parola ci ha accompagnato, guidato, ma forse solo scalfito.

Lo Spirito di Dio ha lavorato in incognito nella nostra vita, donandoci ciò di cui, magari a nostra insaputa, avevamo bisogno.

Come Maria, in quest’anno, siamo chiamati a meditare la nostra storia, scovare la presenza di Dio negli eventi che segneranno (nella gioia o nella fatica) il tempo che ci sarà donato.

E’ la quotidianità, il luogo in cui possiamo fare esperienza di Dio.

La bella notizia di questo capodanno? Possiamo raccogliere tutti i desideri e le paure che ci riempiono il cuore e lasciarli nelle Sue mani. Non c’è posto più sicuro. Garantito.

 Cerco il tuo volto

 


PANDEMIA. NESSUN UOMO E' UN'ISOLA !


 

Una svolta epocale

A Capodanno il Covid compie due anni. La sua presenza fu segnalata in Cina per la prima volta il 31 dicembre 2019 e da allora il virus ha dilagato, con le sue varianti, in tutto il mondo, raggiungendo proprio in questi giorni, in Europa e negli Stati uniti, picchi impressionanti di contagi. 

Non possiamo certo festeggiare questo compleanno. Esso, tuttavia, merita –come dovrebbe essere per tutti i compleanni – che ci fermiamo a riflettere su ciò che il tempo trascorso ha portato di nuovo e di diverso, nonché sulla direzione che si profila per quello futuro. Una riflessione resa più urgente e significativa dal fatto che questa pandemia si è ormai imposta come un evento epocale, capace di coinvolgere l’intera umanità non solo per quanto riguarda la salute fisica, ma anche nei suoi stati d’animo, nei suoi atteggiamenti esistenziali, nei suoi stili di vita.

Come la grande epidemia di peste nera, nel XIV secolo, caratterizzò il passaggio dal medioevo all’età moderna, così anche questa del coronavirus sembra destinata a segnare una svolta di civiltà, di cui ancora non siamo in grado di misurare tutta la portata (come non lo furono sicuramente i nostri antenati medievali), ma che, nel bene e nel male, inciderà profondamente sulla nostra cultura e sul nostro modo di vivere.

Dalla libertà modellata sulla proprietà…

Un esempio eclatante di questa “rivoluzione culturale” è il cambiamento dell’idea di libertà. Nel corso della modernità essa è stata sempre più chiaramente definita sul modello della proprietà privata. Fu in Inghilterra – a partire dal XIV secolo, con un processo sempre più accelerato – , che quest’ultimo concetto, estremamente marginale al tempo del feudalesimo, acquistò importanza.

Prima di allora le terre erano comuni (oper fields) e venivano lavorate dai contadini in una logica cooperativa, ispirata più ai bisogni della popolazione contadina che non a produrre merci per il mercato. Le crescenti esigenze economiche della monarchia – di quella inglese prima, seguita però poi dalle altre dell’Europa occidentale – spinsero i sovrani ad avviare il fenomeno delle recinzioni (enclosures), cioè della vendita a privati di parti di questo territorio demaniale, che veniva di conseguenza recintato e utilizzato in modo esclusivo dal nuovo proprietario.

Da qui una utilizzazione molto più redditizia di queste terre, che ebbe come risvolto doloroso la cacciata di parte della popolazione contadina che prima viveva su di esse e che permise, però, lo sviluppo della nuova economica capitalista.

È significativo che proprio in Inghilterra si sia sviluppata, nel corso del Seicento, quella filosofia liberale che ridefiniva l’idea di libertà. Quest’ultima non veniva più identificata con il “libero arbitrio”, bensì come la possibilità di agire senza impedimenti da parte di altri. In questa visione, destinata ad affermarsi nella cultura occidentale successiva, si è liberi nella misura in cui si può fare o avere quello che si vuole.

Ovviamente una libertà così concepita può essere ammessa solo nella sfera ristretta in cui l’individuo dispone di sé senza invadere l’analoga libertà degli altri. Essa ha dunque dei limiti precisi, espressi nella famosa formula secondo cui «la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella dell’altro». Formula che suppone che vi sia una sfera entro cui si può disporre di sé e della propria vita come si vuole, senza dover accettare interferenze altrui, salvo a doversi fermare al confine in cui comincia la libertà dell’altro.

Come nella proprietà privata.

E non a caso il modello della proprietà veniva adottato in queste filosofie per definire la persona, concepita non più in termini di “essere”, ma di “avere”: si è se stessi in quanto proprietari delle proprie facoltà mentali e fisiche. Una visione che si è ampiamente consolidata nella società contemporanea.

Basta ricordare lo slogan dei cortei femministi in occasione del referendum sull’aborto: «L’utero è mio e ne faccio quello che voglio». Una visione analoga fa da sfondo alla recente proposta popolare di referendum sul suicidio assistito, secondo cui, anche in assenza di insopportabili sofferenze fisiche dovrebbe essere consentito il porre fine alla propria vita senza risponderne a nessuno.

È a questa prospettiva che, già durante il dibattito sul testamento biologico, si ispirava una intelligente esponente della cultura “laica”, Michela Marzano, quando scriveva: «Sono anni che il fronte del “no” invoca il concetto di “sacralità della vita”, facendo finta di non sapere che la dignità di ognuno di noi si fonda sulla nostra autonomia, e che nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di giudicare le nostre scelte e i nostri desideri» («La Repubblica», 27 febbraio 2017).

Neppure la scienza. È ancora Michela Marzano che lo scrive, con perfetta coerenza, polemizzando contro il ruolo assegnato ai medici nella legge sul testamento biologico: «Dovevo essere io a decidere. Io paziente, io che soffro e chiedo solo di andarmene via, io che ho diritto di restare fino alla fine soggetto della mia vita. E invece niente. Alla fine, l’ultima parola spetterà ancora ai medici» («La Repubblica» del 20 marzo 2017).

… Alla libertà come responsabilità

Ebbene, il Covid ci sta costringendo a ripensare questa convinzione. Anche se essa è tanto tenacemente radicata da resistere di fronte all’evidenza, come dimostrano le perduranti opposizioni dei novax e no pass ad ogni misura restrittiva della loro “libertà”. Ed effettivamente, nella logica di una libertà intesa come proprietà assoluta del proprio corpo e come scelta insindacabile del soggetto, in una sfera individuale che nessuno ha il diritto di violare, sono perfettamente comprensibili il rifiuto di vaccinarsi e la protesta indignata contro ogni misura direttamente o indirettamente repressiva di questa scelta individuale.

Per una volta, però, la realtà si impone sulle ideologie e ci costringe a superarle. La pandemia ci ha fatto toccare con mano l’infondatezza della visione “insulare” di un individuo che, nella sua sfera personale, può disporre di sé come vuole e che un netto confine divide dalla sfera della libertà altrui. Questa sfera non esiste.

Ognuno, anche quando decide del suo destino, influisce inevitabilmente su quello degli altri. Non è vero che siamo liberi fino al confine che ci separa dall’altro, perché questo confine è un’illusione otica: l’altro è sempre con noi, dentro di noi, per un’appartenenza reciproca che possiamo cercare di misconoscere, ma che non per questo viene cancellata.

Il Covid ce lo ha ricordato: quello che io faccio di me stesso, del mio corpo, non riguarda mai soltanto me, ma tutti gli altri, che soffriranno le conseguenze delle mie scelte (e questo vale anche per l’aborto e per il suicido assistito!). La logica di quello che uno storico ha definito «individualismo possessivo» non è conforme alla realtà. La libertà è sempre anche responsabilità.

E oggi, sotto l’incalzare della pandemia, gli stessi Paesi neocapitalisti, dove questa cultura continua per altri versi a dominare, sono costretti a contraddirsi, adottando misure in cui si prende atto che esiste un bene comune che non è la somma e l’equilibrio degli interessi individuali interpretati dai singoli, ma un bene oggettivo di tutti (anche dei contestatori), a cui tutti devono concorrere e che lo Stato deve garantire.

Perché l’individuo – come soggetto assolutamente autonomo, indipendente dagli altri e legittimato a comportarsi come tale, all’interno della sua sfera privata – non esiste. Noi siano sempre indissolubilmente legati a tutti gli altri uomini e donne della terra. 

Lo ha scritto, tanto tempo fa, un poeta inglese del Seicento, John Donne, in un testo che avrebbe dato il titolo a un famoso romanzo di Hemingway, «Per chi suona la campana»: «Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata via dall’onda del mare, l’Europa ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica, o la tua stessa casa. Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te».

 ·         Pastorale scolastica Diocesi Palermo

 www.tuttavia.eu

 Immagine: Il mondo di Orsosgnante


 

giovedì 30 dicembre 2021

ANNO CHE VA e ANNO CHE VIENE

PREGHIERA

Signore Gesù, alla fine di questo anno voglio ringraziarti per tutto quello che ho ricevuto da te. Grazie per la vita e l’amore, per i fiori, l’aria e il sole, per l’allegria e il dolore, per quello che è stato possibile e per quello che non è potuto esserlo.

Ti faccio umile dono di quanto ho realizzato quest’anno, per il lavoro che ho potuto compiere, le cose che sono passate per le mie mani e ciò che ho potuto costruire. Ti offro e ti raccomando le persone che ho sempre amato, le nuove amicizie, quelli a me più vicini, quelli che sono più lontani, quelli che se ne sono andati, quelli che mi hanno chiesto una mano e quelli che ho potuto aiutare; quelli con cui ho condiviso la vita, il cammino, il lavoro, il dolore e l’allegria.

Oggi, Signore, voglio  chiedere perdono per il tempo sprecato, per le parole inutili e per l’amore disprezzato; perdono per le opere vuote, per il lavoro mal fatto, per il vivere senza entusiasmo, per la preghiera sempre rimandata, per le diffidenze e i pregiudizi, per le inimicizie e per le mille superficialità nell’agire. Per tutte le mie dimenticanze e i miei silenzi, semplicemente ti chiedo perdono e ti prego di aiutarmi ad accrescere la mia fede e a renderla veritiera e vigorosa..

Signore Dio, Signore del tempo e dell’eternità, tuo è l’oggi e il domani, il passato e il futuro, e, all'inizio di un nuovo anno, io fermo la mia vita davanti al calendario ancora da inaugurare e ti offro quei giorni che solo tu sai se arriverò a vivere. Aiutami a vivere ogni nuovo giorno che la tua bontà mi concederà facendo del mio meglio perché sia fatta la tua volontà.

Oggi ti chiedo per me e per i miei cari, familiari e amici, ma anche con tutti coloro che incontrerò.   la pace e l’allegria, la forza e la prudenza, la carità, la fede e la speranza, la sapienza e la saggezza e la sapienza.

Voglio vivere ogni giorno con generoso impegno, con ottimismo e bontà; chiudi la mia mente e le mie orecchie a ogni falsità, le mie labbra alle parole bugiarde ed egoiste o in grado di ferire.  Apri invece il mio essere a tutto quello che è buono, così che il mio spirito si riempia solo di benedizioni e le sappia spargere ad ogni mio passo.

Riempimi di umiltà, bontà e allegria perché quelli che mi sono vicini trovino nella mia vita un po’ di te. Aiutami a rimediare con coraggio e costanza al male compiuto nell’anno che termina e a superare i momenti difficili che incontrerò. Rendimi attento e sensibile alle persone più bisognose di aiuto.

Proteggi la Chiesa e le istituzioni che operano nella nostra società e nel mondo intero per diffondere, giustizia, misericordia, pace e prosperità. Aiutami a collaborare generosamente con tutti coloro che sono impegnati nel costruire il bene comune. Fammi superare gli ostacoli, le catene e le paludi dell’autoreferenza, della chiusura, dei pregiudizi, delle diffidenze.

Signore, infine, ti chiedo di liberare l'umanità da questa pandemia che rende grigie e incerte le nostre giornate e le nostre relazioni.

Signore, manda su di noi il tuo Spirito per aiutarci a costruire un mondo migliore, testimoniando ogni giorno la tua Parola.

Maria, tua e nostra madre celeste, accompagni il nostro cammino terreno.


 G.P - Rivisitazione del testo di Arley Tuberqui

 

   


mercoledì 29 dicembre 2021

ATTORI NON STATALI NELL'ISTRUZIONE - RAPPORTO MONDIALE

 


PANORAMICA

Il ruolo degli attori non statali si estende oltre l'offerta di istruzione agli interventi a vari livelli di istruzione e sfere di influenza. Accanto alla sua revisione dei progressi verso l'SDG 4, comprese le prove emergenti sull'impatto della pandemia di COVID-19, il Rapporto di monitoraggio dell'istruzione globale 2021/2 esorta i governi a vedere tutte le istituzioni, gli studenti e gli insegnanti come parte di un unico sistema. Gli standard, le informazioni, gli incentivi e la responsabilità dovrebbero aiutare i governi a proteggere, rispettare e soddisfare il diritto all'istruzione di tutti, senza distogliere lo sguardo dal privilegio o dallo sfruttamento. L'istruzione finanziata con fondi pubblici non deve essere fornita pubblicamente, ma devono essere affrontate le disparità nei processi educativi, nei risultati degli studenti e nelle condizioni di lavoro degli insegnanti. L'efficienza e l'innovazione, piuttosto che essere segreti commerciali, dovrebbero essere diffuse e praticate da tutti. A tal fine, la trasparenza e l'integrità nel processo di politica dell'istruzione pubblica devono essere mantenute per bloccare gli interessi acquisiti.

L'appello del rapporto – Chi sceglie? Chi perde? – invita i responsabili politici a mettere in discussione le relazioni con gli attori non statali in termini di scelte fondamentali: tra equità e libertà di scelta; tra incoraggiare l'iniziativa e fissare norme; tra gruppi di mezzi e bisogni diversi; tra gli impegni immediati nell'ambito dell'SDG 4 e quelli da realizzare progressivamente (ad esempio l'istruzione post-secondaria); e tra l'istruzione e altri settori sociali.

A sostenere il quinto Global Education Monitoring Report ci sono due strumenti online: PEER, una risorsa di dialogo politico che descrive l'attività e le normative non statali nei sistemi educativi mondiali; e VIEW,un nuovo sito web che consolida le fonti e fornisce nuove stime del tasso di completamento nel tempo.


SCARICA IL REPORT 

RAPPORTO COMPLETO 

SOMMARIO  Inglese Versione online: English / Français / Español /汉语Русский العربية

 

CESARE SCURATI, UN MAESTRO

 


CESARE SCURATI. 

SGUARDI SULL’EDUCAZIONE

 Nel decimo anniversario dalla scomparsa del Professor Cesare Scurati, il volume rilancia la ricerca e la riflessione sul contributo che questo maestro ha offerto a tanti livelli, concettuali, metodologici e operativi: dai temi dell’infanzia a quelli di una moderna concezione umanista della scuola; dalla metodologia della ricerca alle forme dell’insegnamento delle discipline pedagogiche; dalla curiosità verso i più disparati luoghi dell’“educativo” fino allo stile e all’etica del suo essere studioso e docente.

In Scurati, la ricchezza di questo affresco pedagogico rimanda alla vivacità di una stagione culturale che, nel superamento delle ideologie e degli steccati epistemologici, ha visto l’alba e il tramonto di un’epoca – il Novecento pedagogico – di cui tentò un’interpretazione produttiva e umanistica, pur con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti.

La pluralità degli ecosistemi formativi studiati da Scurati rimanda poi a una sua presenza effettiva, concretamente impegnata a riqualificarli, intrecciando riflessione accademica e formazione professionale, ricerca educativa, analisi delle concrete prassi istituzionali e uno sguardo, in chiave comparativa, agli stimoli provenienti d’oltre oceano.
Il volume si articola in tre sezioni: la prima, Letture, propone gli ‘sguardi’ di alcuni Colleghi sull’opera e la testimonianza di Cesare Scurati; nella seconda, Percorsi, si parla invece di scuola, soprattutto nella prospettiva curricolare e per quanto concerne l’educazione dell’infanzia e l’istruzione di base; la terza, infine, Ambienti, ospita contributi sui molteplici contesti dell’educazione diffusa.

Il volume intende dunque proporre un non aneddotico ricordo di un maestro, ancora capace di suscitare pensieri, idealità, progetti per trasformare il mondo e renderlo migliore.

 Saggi di: Michele Aglieri, Giombattista Amenta, Massimo Baldacci, Andrea Bobbio, Giambattista Bufalino, Paolo Calidoni, Elio Damiano, Mario Falanga, Damiano Felini, Daniela Maccario, Pasquale Moliterni, Monica Parricchi, Beate Weyland.

 Paolo Calidoni, Damiano Felini, Andrea Bobbio, CESARE SCURATI, SGUARDI SULL’EDUCAZIONE, ed. Franco Angeli

 

KEPLERO E LA FIRMA DI DIO SULLE STELLE


 A 450 anni dalla nascita ricordiamo il grande astronomo Giovanni Keplero (27 dicembre 1571- 15 novembre 1630). Egli non ci lascia soltanto le tre leggi sul moto dei pianeti che portano il suo nome, ma ha effettuato un vero e proprio cambiamento di paradigma, superando il principio assiomatico che tutti i moti celesti debbano essere circolari e procedere con velocità uniforme. Principio che aveva dominato tutta l’astronomia antica e che risultava ancora tanto caro a Copernico e a Galileo. Ha iniziato in questo modo un’autentica rivoluzione nel mondo dell’astronomia.

Cresciuto nell’ambiente della Riforma, frequentò la Facoltà di Teologia dell’Università di Tubinga con l’intenzione di diventare predicatore e teologo luterano. Ma dopo aver studiato matematica e astronomia alla facoltà, diventò un copernicano convinto. Nel 1600 fu invitato a lavorare con Tycho Brahe, matematico imperiale alla corte di Rodolfo II. Qui ebbe la fortuna di accedere a una grande mole di dati sulle osservazioni dei pianeti. L’anno successivo, dopo la morte di Brahe, prese il suo posto come matematico imperiale e poté sviluppare liberamente la propria linea di ricerca.

Per Keplero lo «scopo principale a cui l’astronomo aspira [...] è quello di farsi un’immagine dell’autentica forma e struttura dell’intero universo» (Epitome Astronomiæ Copernicanæ, 1621). Questa convinzione lo spinse a porsi domande sulla vera natura dell’universo: perché c’è un certo numero di pianeti? Perché si trovano a quelle distanze dal centro del Cosmo? Perché possiedono proprio determinate velocità e cosa è responsabile del loro moto? Prima di Keplero, c’erano vari sistemi astronomici disponibili, e gli astronomi erano liberi di scegliere quello più comodo per effettuare i calcoli per trovare un corpo celeste, predire un’eclisse o compilare

un calendario. Con le sue domande ha operato un vero e proprio cambio di prospettiva.

Anche il suo metodo era rivoluzionario. Partendo dalle osservazioni di Brahe cercò di formulare relazioni matematiche per chiarire la teoria sottostante. Quando le sue predizioni non corrispondevano ai dati, considerava il suo modello teorico anco- ra inadatto e tornava nuovamente al lavoro per formularne uno più adeguato. Dopo nove anni di duro lavoro, nel 1609 pubblicò il suo capolavoro, Astronomia Nova, nel quale presentò la legge sulla forma ellittica delle orbite planetarie e quella delle aree. Quest’ultima, trovata inizialmente per l’orbita di Marte, descrive come la velocità di un pianeta è maggiore quando esso è più vicino al Sole. Guidato dalla convinzione dell’armonia celeste di Pitagora, nel 1618, trovò la legge che metteva in relazione il periodo di rivoluzione di un pianeta con la sua distanza dal Sole. La sua principale preoccupazione era quella di comprendere l’'influsso' del Sole, che sembrava diminuire con la distanza. Nonostante avesse avuto la giusta intuizione, non poté però formulare una vera e propria teoria di gravitazione universale, mancando ancora in quell’epoca i necessari strumenti matematici. Bisognerà attendere l’opera di Newton che anni dopo proprio nelle leggi di Keplero troverà una conferma della sua teoria.

Sarebbe interessante mettere a confronto Galileo e Keplero. Nonostante alcune lettere scambiate tra loro, i rapporti non furono mai troppo cordiali. Galileo non si riferì mai alle leggi di Keplero né mai all’idea di 'orbite ellittiche'. Inoltre, Galileo sminuì la teoria delle maree di Keplero, secondo la quale alla base delle maree ci sarebbe l’attrazione reciproca tra la Terra e la Luna. Anche gli interessi e i metodi dei due studiosi erano diversi. Keplero rimaneva soprattutto un astronomo, dedito ai calcoli, impegnato a cercare argomenti per giustificare le sue teorie sulla base dell’ingente quantità di osservazioni; Galileo prediligeva invece la sperimentazione fisica e tentava di provare i moti della Terra con analogie intuitive e argomenti un po’ azzardati e talvolta errati. Keplero, metodico e riflessivo, non era un gran letterato e i suoi scritti, spesso ricchi di conteggi e di formule, erano in lingua latina; Galileo era un maestro della lingua toscana, dal temperamento acceso e non di rado polemico, col quale amava imporsi all’attenzione degli uditori. Tutti e due continuano ad avere un grande influsso sul metodo della scienza fino a oggi.

Keplero era convinto che le impronte del Creatore si potessero ritrovare nelle proporzioni del Cosmo e nelle sue leggi. Era animato da una fede profonda che lo portava a ritenere che Dio avesse scelto proprio lui per divulgare a tutta l’umanità le meraviglie insite nella Creazione. Così scriveva riferendosi allo studio dell’universo: «Gli astronomi sono sacerdoti del Dio Altissimo in rapporto al Libro della Natura, per cui è nostro dovere non cercare la nostra gloria, ma la gloria di Dio sopra ogni altra cosa» (Lettera a Herwath von Hohenburg, 26/3/1598). Alcune delle sue idee possono ispirarci a continuare il dialogo tra scienza e fede.

 www.avvenire.it

martedì 28 dicembre 2021

I BAMBINI E GLI ERODI DI OGGI


 Il Papa: difendere l’innocenza 

dei bambini dagli Erode di oggi

Il 28 dicembre, ricorre la memoria liturgica dei Santi Innocenti. In un Tweet, Francesco invita a pregare e a difendere i bambini dai “nuovi Erode” che ne spezzano l’innocenza

- Isabella Piro – Città del Vaticano

“I nuovi Erode dei nostri giorni spezzano l’innocenza dei bambini sotto il peso del lavoro schiavo, della prostituzione e dello sfruttamento, delle guerre e dell’emigrazione forzata. #PreghiamoInsieme oggi per  questi bambini e difendiamoli. #SantiInnocenti”: questo il tweet lanciato da Papa Francesco dal suo account @Pontifex per l’odierna memoria liturgica dei Santi Innocenti, che ricorda i bambini di Betlemme fino a due anni, fatti uccidere dal re Erode allo scopo di eliminare il Bambino Gesù, annunciato dalle profezie come il Messia e nuovo re d’Israele. 

152 milioni i minori costretti a lavorare

Ma oggi, come ieri, gli Erode sono ancora tanti e tante sono le armi che usano per distruggere l’innocenza dei bambini: basti dire che, secondo l’ultimo rapporto dell’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro), pubblicato a marzo 2021, sono ancora 152 milioni i bambini e adolescenti — 64 milioni sono bambine e 88 milioni sono bambini — vittime di lavoro minorile. Metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Molti di loro vivono in contesti colpiti da guerre e da disastri naturali nei quali lottano per sopravvivere, rovistando nelle macerie o lavorando per strada. Altri vengono reclutati come bambini soldato per combattere nelle guerre volute dagli adulti.

I “mercanti di morte” fagocitano l’innocenza dei bambini

Un fenomeno drammatico e inaccettabile contro il quale lo stesso Papa Francesco aveva levato la voce nel 2016, in una Lettera ai vescovi pubblicata il 28 dicembre di quell’anno: invitando i presuli ad avere il coraggio di difendere i minori da tutto ciò che “fagocita” la loro innocenza, il Pontefice ricordava che “migliaia di nostri bambini sono caduti nelle mani di banditi, di mafie, di mercanti di morte che l’unica cosa che fanno è sfruttare i loro bisogni”. Francesco citava i milioni di bambini rimasti senza istruzione, quelli oggetto di “traffico sessuale”, i minori costretti a “vivere fuori dai loro Paesi per spostamento forzato”, i piccoli che muoiono di malnutrizione e quelli piegati dal lavoro schiavo.

 Mai più queste atrocità!

“Se la situazione mondiale non muta – scriveva il Papa, citando le stime dell’Unicef - nel 2030 saranno 167 milioni i bambini che vivranno in estrema povertà, 69 i milioni di bambini sotto i 5 anni che moriranno entro il 2030 e 60 i milioni di bambini che non frequenteranno la scuola primaria di base”. Francesco non dimenticava, poi, “la sofferenza, la storia e il dolore dei minori abusati sessualmente da sacerdoti”: “Un peccato che ci fa vergognare”, sottolineava, da “deplorare profondamente” e per il quale “chiediamo perdono”. Di qui, l’appello del Pontefice a “rinnovare tutto il nostro impegno affinché queste atrocità non accadano più tra di noi”. 

 “Il nostro silenzio è complice”

Le parole di Francesco del 2016 facevano eco a quelle del messaggio Urbi et Orbi del Natale 2014, durante il quale il Pontefice aveva rivolto un pensiero a “tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i  bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato”. “Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode – aveva sottolineato Francesco - Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode. Davvero tante lacrime ci sono in questo Natale insieme alle lacrime di Gesù Bambino!”

 La risorsa della preghiera

Ma c’è una risposta a tutto questo, ovvero “alla tragedia dell’uccisione di esseri umani indifesi, all’orrore del potere che disprezza e sopprime la vita”? La preghiera è certamente una risorsa, come ha spiegato lo stesso Papa all’udienza generale del 4 gennaio 2017: “Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, per esempio: ‘Mi dica, Padre: perché soffrono i bambini?’, davvero, io non so cosa rispondere – ha spiegato - Soltanto dico: ‘Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta’. (…) Soltanto guardando l’amore di Dio che dà suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto”.

Vatican News



lunedì 27 dicembre 2021

UN CUORE SINODALE


Dacci un cuore sinodale




Signore Gesù, aiutaci ad imparare l'arte dell'ascolto. A scoprire che solo tacendo possiamo sentire la voce che sale dal nostro cuore e che viene dall'opera del tuo Spirito in noi.

Aiutaci a sentire con il cuore, affinché il nostro incontrarci non sia un concerto di solisti ma una sinfonia di diversità riconciliate. Riempici di te per essere come te, totalmente aperti all'ascolto e alle novità dello Spirito. Quando il cuore è chiuso aprilo. Quando il cuore è debole rinforzarlo. Quando il cuore è sterile fecondalo.

E sarà una nuova primavera nel campo di Dio che siamo noi, una nuova comunità d'amore aperta alla compassione verso il mondo, una Chiesa missionaria con lo stile di Maria che canta "grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e santo è il Suo nome", perché il Padre dà lo Spirito a chiunque glielo chiede e lo Spirito Santo in noi, e attraverso di noi, fa nuove tutte le cose.

Dacci un cuore sinodale per diffondere nel mondo il soave profumo del tuo amore che ci attira a te per farci vivere di te.

 Così sia.


Raffaele Pier Luca Di Francisca - Consigliere Reg AIMC Lombardia

UNA SCUOLA CON IL PAESE "DI CASA"


 A Borzano, 2200 abitanti in collina alle porte di Albinea (RE) accanto alla chiesa della Natività della Beata Vergine Maria sorge la scuola materna parrocchiale, che consente ai piccoli alunni una straordinaria esperienza di immersione nella natura.

 

A Borzano, 2200 abitanti in collina nel comune di Albinea (RE), nella diocesi di Reggio Emilia, don Gigi Lodesani guida l’Unità Pastorale “Sacra Famiglia”, formata da quattro piccole parrocchie.

Accanto alla chiesa della Natività della Beata Vergine Maria, chiusa da tre anni a causa del tetto pericolante, sorge la scuola parrocchiale dell’infanzia San Giovanni Bosco, di cui don Gigi è presidente, e che da una settantina d’anni è al servizio della comunità.
“Questa scuola dell’infanzia è un luogo che tutto il paese sente suo – spiega don Gigi – Ormai diverse generazioni sono passate in quelle aule, e genitori e nonni sono ancora molto coinvolti nelle attività organizzative e gestionali. In un comune non tanto grande come il nostro, diventa fondamentale l’appoggio ed il sostegno di tutta la comunità, e faremmo fatica a continuare quest’opera se non potessimo contare sul supporto costante delle famiglie e dell’intero paese”.

Una scuola, come spiega con commozione una mamma “che ha saputo regalare emozioni ed esperienze irripetibili a mia figlia ed è stata maestra di vita anche per me; nelle frasi delle educatrici, che mia figlia mi riporta, ho ritrovato quegli insegnamenti, preziosi e ricchi di valore, che avrei voluto trasmetterle e che qualche volta ho dato per scontato”.

Collocata vicino al bosco la scuola, che accoglie 48 bambini, di età compresa tra i tre ed i sei anni, ha sfruttato questa posizione geografica per promuovere un metodo formativo che coniuga educazione ecologica e spirituale.

“Grazie al lavoro prezioso della pedagogista Ornella e alle maestre, quando cinque anni fa è uscita la Laudato si’, si è iniziato ad utilizzare anche il bosco come luogo educativo – prosegue don Gigi – dove i bambini vivono a pieno il rapporto con il creato: l’ammirano, provano stupore, lo rispettano, imparano la cura e ringraziano Dio per quello che ci ha donato. Grazie anche all’intervento di alcuni nonni è stato creato un percorso per facilitare l’arrivo dei bambini al “campo base” nel bosco. Durante il percorso attraversano diversi paesaggi naturali: un torrente, una vigna, un canneto, poi il bosco, dove una natura rigogliosa e varia li abbraccia. Sentono i suoni del bosco, gli uccelli, gli spostamenti degli scoiattoli o di altri animali, i suoni del paese in lontananza. Così da settembre a giugno, per due giorni alla settimana, il bosco diventa un’aula a cielo aperto”.

“In questa esperienza i bambini imparano con il corpo e con i sensi – come chiarisce una maestra – e sperimentano le varie stagioni, il paesaggio che cambia, i mutamenti climatici.
Familiarizzano con gli elementi naturali, ne scoprono le proprietà, e si trasformano in elementi di gioco che stimolano la loro creatività. Durante il percorso ci fermiamo ad osservare e a raccogliere elementi naturali: foglie, rami, sassi, gusci di piccoli animali, piume… Scopriamo impronte, animaletti, uccelli, ed ogni volta sempre nuove scoperte ci aspettano.

Noi insegnanti ci stupiamo davanti al creato, ma anche davanti allo stupore stesso dei bambini”.

“I bimbi – conclude don Gigi – imparano a conoscere le piante, gli animali e tutto ciò che li circonda e migliorano le loro abilità motorie, aumentano l’autostima, l’autonomia e la responsabilità. Poi imparano a collaborare gli uni con gli altri e a condividere le loro emozioni; alla fine di ogni esperienza sono molto felici”.

Classe 1976, Don Gigi, nato a Sassuolo, ha maturato la vocazione in parrocchia quando era ragazzo. Dopo la maturità scientifica si è laureato in filosofia a Bologna, entrando poco dopo in seminario. Membro della comunità sacerdotale Familiaris Consortio, è stato ordinato nel 2009, e per 5 anni ha fatto il responsabile della casa di formazione dei seminaristi della Familiaris, e dal 2014 è parroco dell’Unità Pastorale “Sacra Famiglia”, che comprende quattro parrocchie.

Punto di riferimento per la comunità, don Gigi vive insieme ad altri due sacerdoti, in una comunità sacerdotale. Anche in piena pandemia, il suo volto sorridente ed il forte impegno in particolare per i giovani, ha permesso di superare le difficoltà attraverso proposte forti di fede e comunitarie. Anche la scuola dell’infanzia parrocchiale di Borzano è stata luogo di vitalità e conforto per le famiglie del paese.

“Nel periodo del lockdown sono state molto brave le maestre – conclude don Gigi – che hanno avviato subito programmi di didattica a distanza, pensati appositamente per i piccoli alunni che non hanno mai perso il contatto con la scuola e sono stati coinvolti anche da casa. La forte alleanza e condivisione tra genitori ed insegnanti ha fatto il resto”.
Una scuola speciale, dunque, supportata da un intero paese che dona tempo e sostegno per il futuro dei propri figli e nipoti.

 

Uniti nel dono